
La stima e l’affetto di chi scrive verso la Città Ideale è cosa nota. Ho dedicato a questo gruppo eccezionale (nato da un’idea di Fabio Morgan) molti articoli nel corso degli anni. Li ho seguiti nei loro spettacoli itineranti e non, squisitamente popolari, nei mercati, negli ATER, nei bar, nella metropolitana. Il 14 giugno 2024 si è aggiunta alla lista anche Piazza Testaccio. Qui, nel cuore della Roma più celebre e verace, si è consumata “Edicole – Ce l’ho, ce l’ho mi manca”, pièce scritta a sei mani da Fabio Morgan, Matteo Cirillo e Ariele Vincenti, tripletta che ci già ha abituati e pezzi memorabili.
Protagonista del racconto Carlo, terza generazione di “giornalai”, che dall’edicola del nonno racconta la storia del Paese, dalla fine della guerra alla fine delle edicole stesse. Già perché questo pezzo di Italia fatta di quotidiani, settimane enigmistiche, figurine e materiale hard, passato ormai come molto altro alla fruizione digitale, stanno letteralmente scomparendo. Lo fanno silenziosamente, come le cabine telefoniche, i gettoni, le osterie con le tovaglie a quadri, baluardi di un’identità nazionale oggi tristemente perduta.
Le edicole scompaiono perché la realtà imprenditoriale intorno le soffoca, le impoverisce giorno per giorno a causa di logiche di mercato che schiacciano le piccole realtà di quartiere. No, non è retorica spiccia, è solo il mondo che cambia. Corre veloce a inseguire guadagno e progresso tecnologico, al prezzo però di allontanare sempre di più le persone dal contatto umano, dal senso di comunità.
E quanto vale allora ritrovarsi tutti una sera a Testaccio, con un pezzo di pizza e una birra, ad ascoltare la storia di un piccolo uomo qualunque che ci somiglia così tanto? Che ci racconta di un mercato ben più bello e indimenticabile, quello delle figurine, degli scambi, dei baratti infantili per accaparrarsi le introvabili? Tantissimo, non soltanto in ambito artistico, che pure raggiunge vette ragguardevoli, ma soprattutto in termini di scambio, dialogo, parola viva. Siamo tutti seduti lì, sulle sedie di plastica bianche un poco impolverate dalla fuliggine dell’8, che sfreccia a pochi passi su via Marmorata e non desideriamo altro che ascoltare.
Sì ascoltare Matteo Cirillo nei panni di “Carletto”, che offre numeri di Cioè in cambio di un bacio, dei vhs di Moana, dei cuori di tutta Italia caduti nel pozzo con Alfredino, dei “Forse non tutti sanno che”, Google pioneristico degli anni ’80, di suo nonno che con la voce mozza sale su uno scranno improvvisato nella piazza e davanti alla folla testaccina apre emozionato il giornale, per gridare a tutti che sì, la guerra è finita, “so arivati l’americani”!
Sono pezzi sparsi di un Italia che non c’è più, ma che sopravvive ancora nei nostri ricordi, fra tenerezza e nostalgia. Perché la verità è che la parte più genuina di noi stessi non ci sta a lasciar andare quel senso di unione, di quotidianità vissuta la mattina al bar prima di andare a lavoro, scambiando un paio di battute col vicino di bancone, o proprio all’edicola, dove comprare una finestra sul mondo fatta di carta e inchiostro. Tutto questo contribuisce a nutrire la nostra natura sociale, la bellezza della memoria, la necessità di sentirci parte di una collettività cittadina. Quello che perdiamo lontano da queste istanze ci distrugge e il lavoro della Città Ideale nel restituircelo è un dono prezioso, una luce che, malgrado tutto, resta accesa dentro di noi. Non si può che ringraziarli per questo.
Last but not least applausi scrosciati e partecipati al testo. Una drammaturgia raffinata e commovente che ibrida palpiti, lacrime e sorrisi, come solo le migliori storie sanno fare. Gli rende lustro Matteo Cirillo col suo recitato sempre coinvolgente e senza sbavature ammiccanti, reti pericolose di banalità, in cui riesce sempre a non cadere. Bravo bravissimo anche Ariele Vincenti, che firma la regia, incastonando come una gemma il racconto proprio dentro una vera edicola, gentilmente offerta “a nolo” da un edicolante “resistente” di Testaccio. Quanto è stato bello esserci stati? Fatico a descriverlo, non mi resta che augurare a voi lettori romani di poter almeno una volta essere parte di questo piccolo grande drappello comunitario, che cerca di riunire in una rete di dialogo meta-teatrale tutti i quartieri della città eterna.
Concludo con una chiosa invece che da manuale, da album, Panini. 15 gennaio 1950, ottantesimo di un Fiorentina-Juventus senza smalto. Il reporter Corrado Bianchi, sceso in delle buche sulla pista di atletica del Comunale di Firenze, poggia a terra la macchina fotografica. Così, quasi per caso, immortala uno scatto destinato a fare la storia del Calcio, ma pure quella del costume italiano. Carlo Parola, centromediano juventino svetta in rovesciata e l’obiettivo di Bianchi lo cattura. Non è lo slancio di una punta che sfreccia verso il goal, ma quella di una difesa sotto la porta bianconera e forse nemmeno questo è un caso.
Nessuno lo sapeva ancora, ma quell’immagine sarebbe diventata la più riprodotta in assoluto al mondo. Per l’appunto quella che ancora oggi identifica i pacchetti delle figurine di calcio Panini. E allora in una realtà che ci spinge a desiderare sempre di più, nuovo e grande, voglio dare voce piuttosto al sentimento che mi pervadeva quando nelle edicole cercavo avida e timorosa i numeri delle riviste giovanili nei primi anni 2000. Lo scriverò anzi, che sì, nel mare di tanti, troppi, “ce l’ho”, tutto questo, così piccolo e vitale, invece… Mi manca.