Progetti, ansie ed amori di una sessantenne

[rating=3] Splendidi affacci, spazio ben sfruttato, una camera in più che volendo può diventare uno studio, finiture di pregio e una vista sul più famoso monumento di Roma: “San Pietro più che vederlo si intuisce, lo intuisce?”. Tutto ciò che resta ad un’arzilla sessantenne è la sua casa, ed è anche ciò che può darle da vivere, se ne vende la nuda proprietà. Tutte le sue ansie si materializzano nel fiume di parole che ci assale: in questo Lella Costa è molto brava, passa dalla certezza e forza, “io da qui me ne vado solo coi piedi in avanti!”, al timore di vendere un pezzo della propria vita per poter appunto continuare a vivere, “il mutuo è estinto, ora devono aspettare che io mi estingua”. Il fantasma della morte è sempre dietro l’angolo, ma viene edulcorato con l’ironia di un testo molto carino e spumeggiante. La logorroica donna è disposta a tutto pur di attrarre i possibili acquirenti: più sembra vecchia e malsana, più gli acquirenti della nuda proprietà pagheranno bene per la sua casa, nella speranza di poterne entrare in possesso quanto prima. “Cosa ci metto ad inventarmi un tremito?! Sono anche capace di farmela addosso!”, “basta uno spiffero e sei già un cadavere”.

“Sono terrorizzata dalla povertà”, la donna ci mostra le sue paure e debolezze, ci scherza su, confessandosi con lo psichiatra al quale affitta lo studio. “420.000 euro, 2.000 al mese se campo 20 anni, e se campo di più?”. La morte è quasi preferibile alla povertà, dato che la vecchiaia avanza inesorabile, consumandola come il fuoco accorcia una candela accesa: con gli uomini “alla mia età non c’è ritorno né economico né erotico”.

Lo psichiatra, interpretato da un bravo Paolo Calabresi, pian piano dipana i monologhi della donna, mostra le zone che essa stessa non ha ancora scoperto, fino a nutrire un interesse per lei che va ben al di là del rapporto fra padrone di casa ed inquilino. La loro storia d’amore si materializza proprio quando a lui diagnosticano un male incurabile: è ancora l’alone della morte a fare capolino, svolazza come un ombra scura per il palcoscenico, ricordandoci che “non conta l’arrivo ma il percorso” e che in questa vita “siamo viaggiatori distratti”, diamo quasi tutto per scontato. In una settimana sono obbligati a concentrare una storia d’amore di anni, quindi il lunedì si incontrano, il martedì si sposano, il mercoledì hanno la crisi del settimo anno e così via, “come vivere felici anche se il tempo stringe”.

Il testo intelligente di Lidia Ravera, dal titolo “Piangi pure”, è introspettivo ma straordinariamente leggero e vivace. Alterna momenti drammatici a scatti ironici in un continuo dinamismo. Lella Costa ci mette ovviamente del suo, un ruolo che sembra immaginato per lei prima ancora di essere scritto. Calabresi appare più legnoso: anche se si cala nel personaggio fin dal primo minuto, ha minore possibilità di “giocarci”, lo psichiatra è inquadrato, logico e razionale, a tratti perentorio.

Le luci colorano una scenografia bianca come l’amore colora le vite grigie dei due protagonisti.

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