
Ricordate la storia di Pinocchio, il burattino che voleva diventare un bambino vero?
Solo che, in questo caso, il nostro Pinocchio non è un burattino, ma un robot chiamato Andrew Martin e vuole diventare un uomo, vero.
La storia è ispirata all’ancora più noto racconto di Isaac Asimov, L’uomo del Bicentenario (titolo originale, The Bicentennial Man), del 1976 e la sua prosecuzione e ampliamento, L’uomo Positronico (The Positronic Man) del 1993, scritta a quattro mani con Robert Silverberg. Una mente geniale che ha partorito una storia ancora più geniale; e allo stesso modo, con l’aiuto dello stesso Asimov per la sceneggiatura, il regista Chris Columbus è riuscito nella sua trasposizione cinematografica, consacrandola a capolavoro del genere fantascientifico/drammatico.
Veniamo alla trama del film.
La famiglia Martin, acquista nell’anno 2005, un robot positronico della serie NDR-114, che verrà chiamato da tutti Andrew (Robin Williams), adibito alle faccende domestiche. Fin dall’inizio, nonostante i timori iniziali e l’ostilità della figlia maggiore Grace, che tenta di romperlo, tutti lo considerano un membro della famiglia, trattandolo come una “persona” vera e propria. Con il tempo il rapporto di amicizia con la figlia minore, Amanda (Hallie Kate Eisenberg), chiamata da Andrew “Piccola Miss” e con il Signor Martin (Sam Neill), diventerà sempre più profondo. Durante questo periodo Andrew comincia ad acquisire sensazioni umane e desiderio di imparare; inizia a cimentarsi con la lavorazione del legno, divenendo un artista della scultura.
Sarà grazie allo stimolo della Piccola Miss, ora adulta (Embeth Davidtz), che Andrew esprimerà al Signor Martin, la volontà di divenire un robot legalmente libero, pur continuando a servire la famiglia. Dopo una rimostranza iniziale, il Signor Martin accetta. Andrew avrà così un posto tutto suo dove vivere, nei pressi della villa della famiglia. Ma con gli anni, egli desidererà essere sempre più simile all’essere umano, facendosi modificare il volto in maniera tale da poter mostrare le sue emozioni con il linguaggio facciale e iniziando ad indossare vestiti. Vedrà la sua famiglia crescere, la Piccola Miss sposarsi, avere dei figli, invecchiare e morire, mentre per lui il tempo è solo un concetto infinito.
Decide così di trasformare ancora il proprio corpo: durante un lungo viaggio, conosce Rupert Burns (Oliver Platt), brillante ingegnere robotico, che muterà il suo aspetto, rendendolo un androide in tutto e per tutto simile ad un umano.
Ma nemmeno questo gli basterà, non dopo aver conosciuto la nipote della Piccola Miss, Portia (sempre interpretata da Embeth Davidtz), per la quale proverà un forte sentimento. Tale sentimento verrà accentuato grazie ad ulteriore upgrade, che lo porterà a sostituire la sua struttura interna con protesi meccaniche-organiche, strumenti adatti anche per gli umani e grazie alle quali egli diventerà famoso insieme al suo nuovo amico Rupert. Andrew sa di essere l’unico al mondo del suo genere e questo lo spinge a volere ancora di più. I cambiamenti interni alla sua struttura, fanno si che il robot capisca di essersi innamorato di Portia; ricambiato da questa, egli si farà inserire la protesi di uno stomaco e tutti gli altri organi funzionali di essere umano vero e proprio, persino gli organi genitali. Ma una cosa ancora gli è impossibile ottenere: il riconoscimento legale, da parte del Congresso Mondiale, di ESSERE UMANO. Egli lotterà con tutte le proprie forze per ottenere questa approvazione, così da potersi ritenere parte di quello che ha sempre desiderato e sposare l’amata Portia. Ma la vita, anche per i robot è complicata ed ingiusta.
Non vi rivelerò il finale, in favore di chi non ha mai avuto occasione di vedere questo film.
Ottima interpretazione di Robin Williams, nella parte di Andrew, dolce, sensibile e dall’ingegno stupefacente. Williams riesce a passare con facilità da scene semi-comiche, ad altre strettamente serie, drammatiche e commuoventi, rendendo il film una favola dai toni decisamente aurei.
Una favola davvero attuale, se vogliamo.
La tematica chiave della storia può essere paragonata, in un certo senso, al problema dell’integrazione razziale; un robot, che in quanto individuo esistente, vuole sentirsi libero, con pari diritti e perfettamente integrato nella società, restia ad accettarlo e a ritenerlo effettivamente un uomo. Ciò mi fa pensare, in senso lato, al problema della schiavitù negli Stati Uniti (e forse questo può essere stato ispirazione, seppure in minima parte, per l’ autore del racconto) e la difficoltà che hanno avuto gli ex schiavi, una volta liberati, nel riuscire a diventare parte di un sistema che li rifiutava, in quanto li riteneva “oggetti”. Come questi ultimi, anche Andrew viene rifiutato, nonostante le sue geniali invenzioni che favorirebbero, in altri casi, l’entrata nel sistema; anzi, più il robot dimostra sentimenti vicini e similari all’uomo, più questo ne ha paura e lo teme, sia per complesso d’inferiorità, sia per la paura di qualcosa che non si conosce.
L’uomo bicentenario ci lascia un insegnamento importante, alla luce di quanto detto poc’anzi; concludo con una citazione tratta dal film:
“Come robot avrei potuto vivere per sempre, ma dico a tutti voi oggi, che preferisco morire come uomo, che vivere per tutta l’eternità come macchina.”