Virtual Family Game en travesti

Il Teatro Fabbrichino di Prato ha ospitato la performance di realtà virtuale firmata da Mimosa Campironi

Family games VR ph Ivan D'Ali

Finzione o virtual reality?

Una domanda che posta così potrebbe richiamare un dilemma pirandelliano, che nei Sei personaggi si interrogava sul limite che separa personaggio da attore. Più facile sancire il divario netto tra realtà virtuale e la classica finzione dal vivo che abita la scena teatrale da sempre.

Parliamo di punti di contatto, dove troviamo lo spettatore al centro della performance come non mai, ma anche di opposti, dove l’elemento tecnologico lo catapulta in un altro luogo, perdendo così la sensazione dell’insieme, di far parte di un corpo (il pubblico) e di guardare invece in solitaria, come da un binocolo, ciò che avviene. L’incontro tra teatro e realtà virtuale incuriosisce e come abbiamo già provato in passato, può essere un’esperienza sensoriale di forte impatto se ben fatta.

L’esperimento della VR in collettiva ricorda quello che accadeva negli anni ‘50, quando le persone si davano appuntamento nelle sale dei bar per assistere a “Lascia o raddoppia?”. Sono i teatri nell’oggi a fare da veicolo verso questa nuova tecnologia così immersiva.

Family games VR ph Ivan D’Ali

Di recente abbiamo assistito al Teatro Fabbrichino di Prato a Family Game VR, una performance di realtà virtuale con Alessandro Averone, testo e regia firmata da Mimosa Campironi.

Cinque personaggi per un unico attore, che grazie al montaggio e alla tecnologia si alternano sulla “scena”. Una storia, che ogni personaggio, dal suo punto di vista, aiuta a dipanare, facendo luce su drammi e delitti familiari non del tutto sepolti.

Grazie al visore e alle cuffie, lo spettatore si trova al centro del racconto, e ruotando sulla sedia può focalizzare lo sguardo sul personaggio di turno, o dove vuole, se è incline alla distrazione. In parte è quello che già succede a teatro. Chi non ha mai deviato lo sguardo verso gli altri spettatori, in un momento di cedimento? L’occhio umano in sala era e resta la nostra macchina da presa, una lente che ognuno muove a piacimento soffermandosi su inquadrature del tutto personali. Esistono così tanti pubblici quanti sono gli spettatori. Ognuno dal suo punto di vista assiste già ad una propria rappresentazione.

In Family Game VR è convincente il trasformismo di Alessandro Averone, spesso en travesti, nel calarsi in ruoli diametralmente opposti, ma con caratterizzazioni che si spingono verso clichè preconfezionati. Efficace tutta la componente tecnologica della performance che permette allo spettatore un’esperienza a 360 gradi.

Il testo di Mimosa Campironi è ricco di colpi di scena che tengono il pubblico attivo, impegnato a girare intorno al perno della sedia (fin troppo) in cerca di chi porta avanti il racconto. Inizialmente divertente ma ripetitivo.

La trovata invece di concludere gli ultimi minuti di performance live, con l’attore in scena, ha il sapore posticcio della forzatura. Troppo poco per giustificare il motivo di trovarci tutti in uno spazio scenico reale (dove nella realtà della finzione si recita dal vivo) e non comodamente sul divano di casa.

PANORAMICA RECENSIONE
Attori
Regia
Drammaturgia
Allestimento scenotecnico
Pubblico
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virtual-family-game-en-travestiFamily Game VR <br>testo e regia di Mimosa Campironi <br>con Alessandro Averone <br>disegno luci Massimo Galardini <br>scene e costumi Paola Castrignanò <br>make up artist Bruna Calvaresi <br>musiche Bertrand <br>produzione Teatro Metastasio di Prato e 369gradi <br>Testo selezionato da Italian and American Playwrights Project 2020/22

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