Una toccante Ciociara al Teatro Ghione di Roma

Per la regia originale di Aldo Reggiani, con Caterina Costantini

La ciociara

A dieci anni dalla scomparsa di Aldo Reggiani, Caterina Costantini, ovvero La ‘nostra’ Ciociara, ha voluto ricordare l’importanza di cotanto attore nel panorama teatrale nazionale riportando in scena il capolavoro di Alberto Moravia, nella versione portata sul palco, ben 38 anni fa, proprio dal marito nell’adattamento del grande Annibale Ruccello. Rieccola nei panni di Cesira e all’apertura del sipario la troviamo battibeccare con la figlia Rosetta che le rinfaccia di non volerle dare i soldi per cambiare l’auto del compagno Roberto, perché troppo attaccata al denaro e perché è una contadina. E perché da sempre quello che per i negozianti deve contare è soprattutto il negozio! E se il negozio va bene… tutto va bene…

Eccolo nelle parole delle due protagoniste, il racconto della vicenda e il succo di quanto la pièce descriverà nel prosieguo dello spettacolo. “Meglio contadina che mignotta…” rinfaccia Cesira a Rosetta in risposta. E qui in una girandola di personaggi riaffiorano i ricordi della nostra eroina e di come la sua semplice morale abbia condotto la figlia bravissima, Flavia De Stefano al suo debutto teatrale, allo stupro e alle spalle dei detti battibecchi l’eco mnemonico nella sua violenza si fa mimica di violento impatto morale.

La Ciociara

La scena mostra gli avamposti di quelle trincee che crea la guerra. Sì, le due devono scappare da Roma, dai fascisti, dai tedeschi in cerca di un riparo che dia loro sicurezza e ponga tregua alla paura della piccola fanciulla tredicenne (diciottenne l’attrice). Cesira i soldi li ha: con il marito avevano un negozio a Trastevere e con la borsa nera, un riparo riuscirà sempre a trovarlo per sé e Rosetta e partono per la campagna, per Fondi quindi Valle Corsa e andranno dai nonni.

Quindi il primo riparo sarà da Concetta la grande Lorenza Guerrieri, ma qui cimici e minestrina poco gradita creeranno una nuova dipartita alla volta della ‘macera’ in montagna da Filippo e l’incontro con il figlio Michele, l’intellettuale colto cui tutto dà pretesto di critica e biasimo donde “Siete tutti morti, siamo tutti morti e crediamo di essere vivi… finché crederemo di essere vivi perché ci abbiamo le nostre stoffe, le nostre paure, i nostri affarucci, le nostre famiglie, i nostri figli, saremo morti… soltanto il giorno in cui ci accorgeremo di essere morti, stramorti, putrefatti, decomposti e che puzziamo di cadavere lontano un miglio, soltanto allora cominceremo ad essere appena appena vivi”.

E qui i movimenti coreografici la cifra degli spettacoli di Caterina Costantini giocano con le panche che accompagneranno l’avvicendarsi delle scene e dei personaggi fino all’arrivo vuoi dei fascisti, vuoi dei tedeschi che creeranno ulteriori fughe e rifugi, fino al presunto riparo in chiesa che nella mentalità contadina di Cesira è un posto sicuro. Qui il cruccio della nostra protagonista. Proprio dietro l’altare lo stupro di marocchini a danno della piccola Rosetta, donde l’urlo disperato di una madre che non è riuscita nell’intento tanto agognato di proteggere il suo ‘angelo’.

Le due donne sono ormai cambiate ma nulla toglie all’abbraccio struggente tra madre e figlia che porta al culmine lo spettacolo. Due donne che cercano la libertà, ormai entrambe ferite dalla vita ma pronte a vivere ancora come le parole del brano epilogo ricorda donde lo scroscio di applausi del pubblico presente in sala. Bello spettacolo energico e toccante per un ennesimo successo di Caterina Costantini, per una regia che davvero valeva la pena rispolverare in un momento come l’attuale: oggi come nella trama di Moravia è “TUTTA COLPA DELLA GUERRA“.