
Quartett di Heiner Müller è un testo di viscere, sangue e pulsazioni, tanto contorto quanto lampante. In bocca a Fulvio Cauteruccio e Valentina Banci la sua potenza a tratti si spegne, talvolta frammentata e masticata velocemente. Lo scontro tra i due amanti protagonisti della pièce, rievocati da Müller ricalcando il romanzo epistolare Le relazioni pericolose, nella versione di Roberto Latini si fa più parodia che delirio vacuo, eppure trascendente e poetico, dei due libertini. Il regista sembra voler ridicolizzare il rapporto tra il visconte Valmont e la marchesa de Merteuil, soprattutto nella prima parte, forse nell’ottica di svelare il vuoto che abita i gradini alti della scala sociale.
Quella noia che serpeggiava tra l’aristocrazia francese ai tempi dell’opera letteraria e che oggi bisbiglia all’orecchio delle classi dirigenti. La finezza qui sta nel verbo, la parola, che tuttavia non vibrano come dovrebbero ma sembrano tritate e sputate fuori, mentre il movimento scenico si centra sul gioco degli equilibri tra Cauteruccio e Banci su un’asse in bilico – fattore di rischio che può aver inciso sulla fluidità della recitazione.
I due personaggi, assetati di potere psicologico da esercitare l’uno sull’altra, mascherati da super eroi (lui Superman, lei Wonderwoman), si nutrono di un odio/amore che è dipendenza e vicinanza, sottile perdizione, sregolato dialogo. Se la prima parte, che non risponde pienamente alle esigenze grottesche della regia, scricchiola per intensità, la seconda parte funziona come forza che segue più segni e tracce, amplificazione di suggestioni e interpretazioni. Se siamo in un ufficio, uno studio di doppiaggio o in luogo dove due attori recitano il copione non lo sappiamo; ci si abbandona alle voci che si esplorano, distanti e vicine, in una pulizia stilistica glaciale e calda che sfiora il dialogo filosofico.
L’attaccamento al corpo, che emerge nel testo di Müller, risalta come senso di astrazione distaccata ma anche terrena, sperduta, appiglio che nemmeno l’agio più frenato può offrire. L’abisso umano dei due personaggi è colmato da termini che invocano azioni, seduzioni, atti scomodi, pur di non percepire il peso dell’incalcolabile universo sopra di loro.
Le musiche di Gianluca Misiti dettano i tempi dello spettacolo, danno sospensione e, contemporaneamente, corpo a uno spazio scenografico che è chirurgico ma preda dell’anima, che come recita Quartett, altro non è che “una mucosa, o un muscolo”.