
[rating=4] La lamiera in ferro riesce a malapena a trattenere il fetido contenuto. Nessuno si avvicina al coperchio, ci vuole coraggio a sfidare le temibili esalazioni nocive. Finalmente questo bidone viene rovesciato e le scorie, rimaste sepolte per 30 anni, fuoriescono lentamente ma inesorabilmente come una melma schifosa, ci travolgono mille veleni, mille intimidazioni, porcherie, patti inconfessabili e mai scritti, accordi taciti, ricatti, estorsioni, tangenti e malaffare. Si viene a contatto con insabbiamenti, avvertimenti, attentati, servizi segreti deviati e giustizia pilotata: alla fine restiamo come svuotati, imbrattati, come se un fiume di fango in piena ci avesse investito, insinuandosi con forza fra le poltroncine del teatro Duse di Bologna.
Marco Travaglio è molto bravo nei suoi reportage giornalistici: si rilegge le sentenze, spulcia le dichiarazioni dei pentiti, triangola le date e i luoghi, crea legami fra fatti apparentemente indipendenti. La sua ricostruzione è pulita, logica e disarmante. Ogni tanto la sua ironia fa capolino, alleviando l’enorme amarezza che pervade le sue parole: non si ride ovviamente di gusto, è sempre un sorriso calcolato, una boccata di ossigeno per poi ricominciare a respirare quella puzza marcia della “presunta” trattativa stato-mafia, l’accordo più nefasto della nostra vita democratica. Solo con la collusione fra forze di polizia e la mafia si riesce a spiegare come mai il sito dove fu arrestato Riina non venne perquisito, in attesa di prendere con le mani nel sacco qualcuno della mafia che vi si fosse recato, ma incomprensibilmente venne lasciato incustodito: quando vi ritornarono per la perquisizione, ben due settimane dopo, i muri erano stati addirittura ridipinti! E si intuisce come fa a sparire da via d’Amelio l’agendina rossa di Borsellino subito dopo l’attentato che lo uccise insieme alla moglie e alla scorta, nella quale aveva appuntato tutti gli incontri, le minacce, le sue intuizioni e che aveva sicuramente con se, dato che non se ne separava mai. E ancora perché vennero chiusi le prigioni dell’Asinara e di Pianosa, dove si applicava con rigore il 41bis, il carcere duro per i mafiosi, non appena la mafia uccise Salvo Lima con l’intento di inviare un messaggio ai politici che dovevano proteggerla e che non lo facevano. “Riina era a suo modo un padre costituente”, pretendeva leggi da chi poi favoriva durante le elezioni.
Nel 1993 sta per scendere in campo Berlusconi: “la mafia fa campagna elettorale con Forza Italia per sintonia programmatica?!”. L’ironia su Berlusconi è tagliente, come sempre nei suoi scritti e interviste: si va dall’“evasione fiscale per uso personale, come dire che un ladro di auto si giustifichi dicendo: con tutte le auto che si sono ne ho presa una sola!” alla legge Severino, che Berlusconi ha votato (“era l’unica legge buona, infatti sembrava diversa dalle altre! Crudeltà, ne è stato il primo utilizzatore finale”) e che “non gli avevano spiegato bene, con Alfano che dichiarava: tanto sarà assolto”. Per arrivare alla “velocità sospetta della corte di cassazione” a decidere sul processo per evasione fiscale, che però è durato dal 2003 al 2013, che ha poi portato al “romanzo Quirinale”, con la tiritera “grazia si grazia no” con Napolitano: “se non me la chiedi non te la posso dare, non te la chiedo così me la puoi dare, gliel’ha fatta annusare per 6 mesi e non gliel’ha data”. Gli italiani assecondano la vittima Berlusconi come “gli ostaggi familiarizzano coi sequestratori, sindrome di Stoccolma? No di Arcore”. Nemmeno le altre parti politiche che si avvicendano ai governi Berlusconi sono da meno, infatti la caratteristica irrinunciabile di un perfetto politico è la ricattabilità.
Il quadro che ne esce è molto tetro: “è un miracolo che l’Italia sia un paese vivibile e persino allegro, complimenti!”. Nemmeno le frasi di Gaber, Pasolini e Pertini che intervallano il monologo di Travaglio sono incoraggianti. Neanche Valentino Corvino col suo violino. Solo il discorso che Calamandrei tenne agli studenti di Milano il Gennaio 1955, che chiude lo spettacolo, ci ridà un po’ di fiducia nella Costituzione, anche se la rilettura di Valentina Lodovini non ha nemmeno la metà dell’energia e della forza che si trova nella registrazione originale.
Uno spettacolo duro che fa riflettere. Il poco pubblico giovane in sala non si sente purtroppo coinvolto, mentre chi quegli anni li ha vissuti sulla propria pelle è preso nel vivo e ascolta con attenzione.