
Parlare di femminismo senza cadare nella banalità dell’ovvio che poi ovvio non è quasi mai, o peggio, scivolare nella pericolosa trama di strumentalizzazioni effimere e deludenti è una buccia di banana su cui in parecchie e parecchi si sono spezzati le ossa. Non è il caso di Scenes with girls, il testo ironico, brillante e attualissimo di Miriam Battye, portato in scena col riadattamento e la regia di Martina Glenda all’Altrove Teatro Studio di Roma, un piccolo e delizioso spazio a pochi passi dalla metro Cipro, rimasto abbandonato fino al 2017 e oggi recuperato dall’associazione I pensieri dell’Altrove, che ne ha creato un luogo di condivisione e immagini parietali immersive di Cristina Gardumi, tuffate in una triade di rossi, neri e bianchi che ti entra da subito negli occhi e ci rimane.
La scena si apre subito con un bel water immerso in un tripudio di moquette fucsia rampicante, che sembra strizzare l’occhio a quel luogo diversamente comune per cui l’ormai fu, senza rimorso, “gentil” sesso, pare trascorrere buona parte del proprio tempo. In due beninteso, perchè la famosa narrativa patriarcale, più volte tirata in ballo dalle due protagoniste: Tosh e Lou, ci vuole sempre fatalmente accoppiate nel bagno. E allora che sia proprio quello il confessionale fluo a cui offrire i pensieri più intimi e ostili. Due amiche che paiono incarnare gli opposti di un un unico io, quello d’azione e di pensiero, trascorrono le loro giornate a parlare di Fran, la terza amica fidanzata, ormai rovinosamente risucchiata dalla convenzione sociale della donna che viene al mondo per appartenere a un uomo, tanto per citare una femminista talvolta “scivolosa”.

Ecco dunque che adesso è lei, Fran, la vittima di quella famosa narrativa a cui tanto Tosh che Lou si ripetono di voler sfuggire, la dolce, docile, umile Fran che passa le giornate a dribblare discussioni e sfornare lasagne. Come è sacrosanto giusto aspettarsi dal ruolo della fidanzata “giusta”, perchè così ce lo hanno raccontato. L’amicizia allora forse morbosa fra le due, inizia paradossalmente a incrinarsi proprio quando la terza della triade pare aver trovato sicuro rifugio fra le braccia di un uomo. Perchè tanta improvvisa rabbiosa ostilità per l’amica un tempo riconosciuta simile? Perchè a quella narrativa forse non si può sfuggire e quello che Tosh insegna a Lou di rifiutare con fermezza, è proprio quello che nel più profondo di se stessa non riesce a scacciare. A smettere di desiderare.
Il dialogo serrato, divertente, intenso allora si trasforma in un Risiko di parole, un gioco al massacro della convenzione che però ci portiamo dentro e alla quale la piccola bambina sfigata che siamo state continua ad anelare segretamente. Perchè? Perchè La “Narrativa Tipica” è imperante e infiltrante, tanto quanto l’ostinata Resistenza che le due le fanno in modalità specularmente inefficaci. Sembra contare solo il disprezzo per Fran, o più propriamente quello per se stesse, per la se stessa che “devi” essere per essere “giusta”. Il testro gioca sapientemente su questo doppio binario, celebrando senza didascalismi l’amicizia, il sentimento più puro e libero da ricompense al quale Fran, Lou e Tosh torneranno sempre e che in fondo, pare suggerirci l’autrice, è solo un’altra faccia luminosa del mutevole prisma dell’amore.
Brave le tre interpreti: Chiarastella Sorrentino, Chiara Gambino e Giulia Chiaramonte, spingono lo spettatore in un vortice di emozioni, a volte splendide, altre orribili, sempre umane, delineneando i profili di tre personaggi diversissimi e affascinanti. Impossibile non amarle. La regia di Glenda è un tocco magico e accattivante che non storpia nè affossa il testo e anzi gli regala una forma originale e piena di ritmo. Bello il disegno luci e anche la scelta dei pezzi musicali, sulle cui note ballano e “fioriscono” nonostante tutto e tutti le tre donne che a turno, sfida aperta, giochiamo anche noi spettatrici a rinnegare di essere state. Brave!