“Racconto d’inverno” e “Otello” al Glob(e)al Shakespeare

Il Glob(e)al Shakespeare apre il Napoli Teatro Festival Italia al Teatro Bellini di Napoli

Si apre a Napoli, nel nome del Bardo, il Teatro Festival Italia, particolarmente ricco, quest’anno, almeno sulla carta, di suggestioni e stimoli che da più parti concorrono a tracciare un profilo dello stato dell’arte teatrale: solo la visione dei tanti spettacoli previsti ci dirà se le scelte sono state coerenti allo scopo e agli intenti della manifestazione, che festeggia quest’anno il decennale con 35 giorni di spettacolo, 11 sezioni, per un totale di 95 eventi in 24 luoghi. Comincia intanto il Teatro Bellini, che ospita, all’interno del più grande contenitore del Festival, una rassegna dedicata al Globe: un progetto speciale, il Glob(e)al Shakespeare che vuole riproporre, per tre sere, l’atmosfera del Globe Theatre di Londra, ogni volta presentando, di seguito, due lavori, una commedia e una tragedia. Per l’occasione la struttura stessa del glorioso teatro napoletano viene forzata, alterata come se filtrata attraverso uno specchio deformante, fino ad assumere anche nella forma – dando per scontato che ciò aiuti pure il mutar della sostanza, o quantomeno della percezione che di essa ne abbiamo – le sembianze del teatro elisabettiano, di gran palco al centro di un vortice di spettatori: per far ciò è stato necessario il sacrificio – quasi per intero – della platea (un pallido ricordo ne resta incarnato e testimoniato da alcune scomode panche sistemate verso l’ingresso). Sembra, ora, il palcoscenico che s’offre nudo all’occhio dello spettatore che si sistema al posto suo, esuberante escrescenza, grigioperla lingua protesa d’un buffamente minaccioso personaggio dei cartoon che tenti, invano e non si sa con qual consapevolezza, far boccacce a un pubblico distratto e inavvertito: miracolosamente (accade che talvolta l’antico e il nuovo s’alleino per liquidare il vecchio) si sposa, questa metamorfosi che copernicanamente rivoluziona il concetto stesso d’italico teatro, col metter in scena come s’usa nella contemporaneità nostra, mettendo via gli orpelli, gran parte delle scene – non avrebbero più senso in una visione a tre dimensioni – e dei fondali, sipari e siparietti, per acquistare, il gesto, in profondità, si spera non solo letterale, non più schiacciato sul fondo, volatilizzando, nell’attimo preciso della messa in scena, la nozione stessa di quarta parete.

S’è cominciato ieri con Giulio Cesare e Una commedia di errori, si proseguirà domani con Tito e Le allegre comari di Windsor, oggi assistiamo invece a Racconto d’inverno e Otello: coppia quanto mai ben assortita d’opere. Da sempre di problematica collocazione, tra i late romances da un lato – finale a lieto fine ad opera di magia o deus ex machina, scene di corte e pastorali – e i problem play dall’altro – così nettamente scisso tra dramma psicologico che sfiora la tragedia nella prima parte, commedia che sfocia nella farsa nella seconda – Racconto d’inverno ha per tema la gelosia e l’amicizia: in quest’occasione ne vediamo la riduzione per la riscrittura originale di Pau Mirò ed Enrico Ianniello e la regia di Francesco Saponaro. Ben più famosa, anzi una delle più popolari tragedie del Bardo, anche tra i non amanti del teatro, grazie agli innumerevoli lavori (opere liriche, film, cartoon, graphic novel) che ne sono derivati, fino a far diventare il suo protagonista banalizzato prototipo un po’ suonato del geloso per antonomasia, Otello ha come tema più ovvio quello dell’immotivata gelosia, ma son di rilievo pure motivi come il sesso e la diversità razziale, l’amicizia e il suo tradimento: l’originale riduzione messa in scena oggi è di Giuseppe Miale Di Mauro, che cura pure la regia, e di Andrea Vellotti. In effetti ciò che accomuna i due lavori è il tema della gelosia e dei suoi effetti: di come, cioè, posto un assunto incredibile eppur possibile – l’immotivata gelosia – da essa non possa che derivar che sangue e lacrime, a meno di un evento che, in modo del tutto casuale, ne possa, in  qualche modo, attenuar gli effetti; perché se Otello è tragedia che s’avvita su se stessa, chiusa ad ogni barlume possibile di speranza e giustizia, nel caso di Racconto d’inverno sperare in un mondo più giusto e migliore è possibile grazie al tempo e alla novità delle generazioni che si susseguono.

Affida, Francesco Saponaro, alle note dell’Overture dei Vespri siciliani l’incipit della sua messa in scena: risuona elegante, accompagnando l’entrata dei principi, sottolineandone l’attuale felicità ma, insieme, l’oscuro presagio di quanto di lì a poco succederà. La scelta è felicissima, perché non si tratta solo di una mera notazione che riguardi il luogo ove la vicenda si svolge – una Sicilia oscura e piena d’ambigue malìe – e neppur solo riferimento al secolo elegante e nobile in cui vien trasmutata la vicenda, l’Ottocento in finanziera e mantello che fu dei Principi Salina, ma proprio perché a questo brano Verdi affida, come dice Michele Girardi, “il suo punto di vista sulla vicenda, dominata da una sorte tragica che colpisce un’utopia di pace, annientata da una violenza inutile”, che, non è un caso, è esattamente ciò che accade in questa complessa vicenda, compresi i figli che riconoscono i padri al di là del tempo e del dolore. La Sicilia e la Boemia sono più o meno equidistanti da Londra, e viste da laggiù le due regione europee possono benissimo assumere forma e sostanza di luoghi fantastici ove dominino stilizzati e raffinati modelli cortesi nell’una, finendo per guastar la ragione dell’amabile monarca che la regge, ovvero bucolica e più semplice vita campestre nell’altra, più adatta al fiorire d’un amore vero e sincero, che sarà quel che legherà i giovani figli dei due re, inconsapevoli di quanto accaduto sedici anni prima e che saneranno il vulnus dei padri; così, nella visione della riscrittura, la Sicilia diventa il regno descritto da Tomasi di Lampedusa, quasi fosse Leonte un don Fabrizio con cui, in verità, si trova a condividere l’autorità, la crudeltà, la carnalità, la fisica felicità, l’orgoglio di classe; la Boemia, sorprendentemente, un eterno Sud da Fontamara, coi cafoni poverelli privi d’ogni mezzo, tra povertà e ignoranza, per difendersi dalla vita e dalle prepotenze dei nobili che, come gli antichi dei, si travestono da contadini e pastori per carpirne la fiducia e tutelare i propri interessi. Bellissimi i costumi: in assenza pressocché totale di scene e fondali, l’attenzione si concentra sugli oggetti di scena e sui loro movimenti, per esempio sulla poltrona-trono su cui si concentra la luce del potere, o sulla clessidra simbolo del tempo che sana le ferite attraverso lo scorrere delle generazioni, o, ancora, sul gran fazzoletto bianco di Leonte, simbolo, insieme, della sua gelosia (e già si pensa all’Otello che verrà), della follia della notte della ragione, dell’ingiustizia che commetterà.

La messa in scena dell’Otello di Giuseppe Miale di Mauro, si muove a partire da alcune precise scelte che fortemente ne condizionano, fin quasi a contaminarlo, come vedremo, il senso profondo: la prima, e più appariscente, prevede la trasposizione della vicenda nella contemporaneità particolare d’una famiglia camorristica; la seconda ne concentra l’azione nell’arco di tempo d’una singola giornata: le nozze d’Otello e Desdemona. Due scelte che inevitabilmente portano con sé conseguenze che, in verità, più che meglio veicolare temi, motivi e tesi, spesso finiscono per accentuar difetti già presenti nella scrittura del Bardo, e che fan da sempre discutere: per esempio, la vicenda sembra svolgersi, nell’originale, in un arco di tempo piuttosto breve, all’incirca di trentasei ore: questo però, secondo i più, porta a incongruenze insolvibili, riguardanti per esempio il momento in cui situare il presunto tradimento di Desdemona; riducendo ancor più il tempo, le contraddittorietà aumentano: il fazzoletto non è più primo dono d’amore d’Otello a Desdemona, all’epoca del tormentato fidanzamento, ma viene consegnato a lei nel corso della cerimonia nuziale: quando l’avrebbe dato (o dimenticato nella sua alcova) Desdemona a Cassio? Ed Emilia che ruba lo stesso fazzoletto nel corso del pranzo nuziale, lungi dall’essere strumento inconsapevole del marito, ne diventa complice nell’ignavia, visto che non può ignorare l’uso che Iago fa del fazzoletto, avvenendo tutto sotto i suoi occhi. D’altra parte l’accentuata (e voluta) volgarizzazione dei personaggi, il kitsch profuso a piene mani, l’imperante gusto trash dei protagonisti, se da un lato poteva potenzialmente sembrare una buona idea, facendo coincidere il carattere guerriero di Otello e dei suoi ufficiali con quello spavaldo dei camorristi, d’altro canto inevitabilmente impoverisce e appiattisce pericolosamente la feconda e faconda complessità dell’opera, e ciò anche al di là – e perfino – della quasi perfetta traduzione letterale di certe parti dal linguaggio originale nello slang partenopeo (generando finanche qualche risata qua e là). Ancora, da segnalare la pressoché totale scomparsa della tematica razziale: Otello appare perfettamente integrato nel “suo” mondo, il rancore di Roderigo e Iago risulta alla fine puntato solo sull’invidia e sul desiderio sessuale; così tutto risulta alla fine sbilanciato, e non poteva essere diversamente, sul tema della sessualità, che diventa, di conseguenza, ipertrofico rispetto al resto.

PANORAMICA RECENSIONE
Regia
Attori
Drammaturgia
Allestimento scenotecnico
Pubblico
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racconto-dinverno-e-otello-al-globeal-shakespeareRacconto d'inverno <br>di William Shakespeare <br>adattamento Pau Miró, Enrico Ianniello <br>con Luigi Bignone, Rocco Giordano, Tony Laudadio, Mariella Lo Sardo, Vincenzo Nemolato, Francesca Piroi, Marcello Romolo, Leonardo Antonio Russo, Eduardo Scarpetta, Edoardo Sorgente, Petra Valentini <br>regia Francesco Saponaro <br>assistente alla regia Gianmarco Modena <br>durata 1h e 20min <br> <br>Otello <br>di William Shakespeare <br>adattamento Giuseppe Miale di Mauro <br>drammaturgia di Gianni Spezzano <br>con Viviana Altieri, Francesco Di Leva, Martina Galletta, Giuseppe Gaudino, Adriano Pantaleo, Andrea Vellotti <br>e con la partecipazione del gruppo #GiovaniO’Nest Antonio Coppola, Armando De Giulio, Emilia Francescone, Lisa Imperatore, Raffaella Nocerino, Ralph P, Nunzia Pace, Francesco Porro, Mimmo Sabatino, Carlo Salatino e Anna Stabile <br>regia Giuseppe Miale di Mauro <br>cura del movimento Anna Carla Broegg <br>musiche originali Ralph P <br>uno spettacolo della Compagnia NEST <br>durata 1h e 20min <br> <br>Napoli, Teatro Bellini, 7 giugno 2017