Primi passi sulla luna (O delle strategie di un attore per far innamorare la platea)

Per l'Estate fiesolana lo spettacolo-non spettacolo di Andrea Cosentino al Teatro Romano

[rating=5] Quando ero piccolo mi innamoravo di tutto, correvo dietro ai cani ( Coda di lupoF. de Andrè).

Strano tipo di spettacolo questo, perchè, dichiaratamente, Andrea Cosentino lo vuole provvisorio, incompleto e, implicitamente, perchè vuole farcene innamorare e si sa, da che mondo è mondo ci si innamora di ciò che è fuggente, incerto, non finito (nel senso etimologico di privo di fines, di confini).

L’attore-autore romano, rappresentante di seconda generazione (insieme, per intenderci, a gente tipo Ascanio Celestini) di un teatro di narrazione misto al cabaret, in elegante completo grigio sdrammatizzato dalle scarpe da ginnastica verdi e da un paio di antenne rosa in testa (che servono, spiega, per far capire il carattere comico dell’evento) comincia col farci ridere forte (ottimo incipit da sempre per ogni Casanova che si rispetti) con una serie di divagazioni surreali che serviranno per uno show che si immagina postumo, prendendo spunto dal quarantesimo anniversario dello sbarco dell’uomo sulla luna (e ironizzando sulla pratica istituzionale di dare sovvenzioni a chi fa spettacoli per omaggiare anniversari vari e disparati, ndr)

Lo spettatore pensa così di aver inquadrato il personaggio e il genere di rappresentazione cui sta assistendo per l’Estate fiesolana, nella strepitosa cornice dell’anfiteatro sotto un cielo blu cobalto e una magica luna piena -quest’ultima assai  importante nello spettacolo- e invece si sbaglia clamorosamente e, ormai tranquillizzato, viene chiamato a rispondere a domande del mattatore, e poi preso  affettuosamente in giro per esserci cascato, e gli  viene così spiegato pure uno degli espedienti cui più spesso si ricorre in teatro.

Improvvisamente, in questa creata complicità (che è il primo passo per creare intimità anche tra narratore e platea), il racconto, pur seguendo una sua linearità, nell’apparente caos generatore di stelle danzanti di nietzschiana memoria, si fa più intimo, più autobiografico, quasi serioso, e il pubblico resta spiazzato e incuriosito (ottima tattica, anche questa, nella strategia amorosa).

Sì perchè, dalla luna oggetto di conquista da parte dell’uomo illustrata da una serie di bizzarri personaggi, l’uno più strampalato dell’altro, si passa alla luna parlante di un racconto per bambini della Pimpa di Altan, e si narra una storia -difficile e autobiografica- che ha per protagonista una bambina: Maestri veri, sempre, sono i bambini. I bambini non ancora adultizzati, non ancora rincretiniti dal vendergli roba. Il bambino ha l’assoluto in sé, l’assoluto è il gioco, cioè il teatro. Il gioco è dio, dio è gioco (Giuliano Scabia).

Un colpo al cuore e un colpo all’anima: il registro è passato impercettibilmente dal comico stralunato (sempre la luna di mezzo, appunto) allo struggimento e ad una contenuta, sobria tenerezza, pur tenendo quel distacco brechtiano che induce a tranquillizzare esplicitamente il pubblico che nella calura estiva è uscito in una serata infrasettimanale per assistere a un intrattenimento leggero, rinnovando così la strizzatina d’occhio tra sopra e sotto il palco.

Primi passi sulla luna

Le musiche scelte ad hoc sul tema trascinano gli spettatori in uno stato d’animo ben descritto dall’attore in un punto del suo esilarante monologo ad alto tasso emotivo: una sorta di strana felicità pur nell’angoscia e nello straripare di emozioni che il racconto sta suscitando; quando il pubblico pensa di aver raggiunto l’apoteosi tra risate, tenerezza, ansia, curiosità, speranza, ecco che arriva un sapiente gioco di luci creato da Dario Aggioli -spesso lui a curarle negli spettacoli del Cosentino– che aggiunge atmosfera all’atmosfera, incanto all’incanto.

Andatelo a vedere questo Primi passi sulla luna: cercatelo, godetevelo, ubriacatevi di emozioni, innamoratevene.

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