
Vissuto sette secoli fa, Dante continua a parlarci con una forza straordinaria provando a guidarci in questa selva oscura che è la vita e infondendola di un sentire celestiale degno di quell’amor che move il sole e le altre stelle da lui raccontato nella Divina Commedia.
Quest’anno in particolare, in cui cade il settimo centenario dalla sua morte avvenuta nel 1321, artisti, studiosi e appassionati da ogni parte del mondo hanno voluto celebrare il Sommo Poeta. Non sono da meno l’attore Elio Germano e il compositore, musicista e sound designer Teho Teardo che, in scena in questi giorni al Teatro della Pergola di Firenze insieme ai registi e direttori creatori Lulu Helbaek e Simone Ferrari, hanno scelto di rendere omaggio a Dante portando in teatro il XXXIII Canto del Paradiso, che chiude la Commedia, dandoci nel rappresentarlo la propria interpretazione del testo.
Il progetto è quanto mai ambizioso e visionario, a cavallo tra l’antico e il moderno, tra il bello e il kitsch, i due artisti infatti salgono su un palco vuoto insieme alla violoncellista Laura Bisceglia e alla violista Ambra Chiara Michelangeli per dare vita ad un’ora di spettacolo che mescola le terzine dantesche alla musica elettronica con commistioni classicheggianti di Teardo e alle luci in alcuni momenti degne del Berghain (famosa discoteca berlinese, ndr.) di Pasquale Mari.
L’effetto è straniante e un po’ stordente, ma di certo non lascia impassibile lo spettatore che si trova catapultato in un mondo surreale e a tratti fuori dal tempo e dallo spazio.
Elio Germano, lontano dalle letture di predecessori quali Carmelo Bene o Roberto Benigni, da un’aurea intimista e sofferta al canto che ha come vera protagonista non la visione paradisiaca del Divino quanto l’impossibilità a comunicare a parole ciò che solo al Poeta è stato concesso di vivere. Da qui una scansione delle parole lenta e sussurrata, singhiozzante e a tratti commovente che però viene in certi momenti sovrastata dalle musiche di Teardo, che peccano di eccessiva modernità.
Se infatti l’interpretazione magistrale di Germano e il disegno luci spettacolare di Pasquale Mari sembrano armonizzarsi in maniera innovativa col testo dantesco, la musica di Teardo appare ben lontana dalla trascendenza che – laddove le parole non riescono ad arrivare – si manifesta nella Commedia proprio nella musica e nei canti celestiali descritti da Dante.
L’esperimento è perciò da apprezzare nella sua audacia e innovazione, tuttavia tradisce un desiderio di modernità anacronistica che non rende giustizia a un testo che è già moderno e imponente di suo e che non ha bisogno di forzature temporali per riuscire a parlare ancora, dopo 700 anni, a tutti noi.