Ottavia Piccolo: voce, corpo e anima di Anna Politkovskaja

Il monologo “Donna non rieducabile” scuote e commuove il pubblico del Metastasio

Quando il buio cala in sala, le voci del pubblico scemano, il sipario si apre e un suono violento di corde d’arpa riecheggia nel palcoscenico del Metastasio e fa da tappeto sonoro all’ingresso di Ottavia Piccolo, completamente vestita di bianco.
Ha così inizio il monologo “Donna non rieducabile”, struggente memorandum sulla giornalista Anna Politkovskaja, uccisa nel 2006 dalla malavita russa a causa del suo coraggio nel raccontare e far conoscere la verità sulla guerra in Cecenia.

«Io non scrivo mai commenti, né pareri,né opinioni. Ho sempre creduto – e continuo a credere – che non stia a noi dare giudizi. Sono una giornalista, non un giudice e nemmeno un magistrato. Io mi limito a raccontare i fatti». E il racconto dei fatti di Anna corrisponde alla sua condanna a morte.

«La stampa si divide in “chi è per la Russia” e “chi non è con la Russia”. Se sei per la Russia dopo 5/6 anni ti fanno deputato. Se non sei per la Russia non devi fare il giornalista. Punto. La tua è propaganda contro lo Stato. Punto. La propaganda contro lo Stato si punisce. Con la morte».

In seguito al racconto della Politkovskaja, i soldati russi non potranno più tornare nella loro patria da eroi, ma torneranno come assassini. Le barbarie che hanno commesso in Cecenia saranno a conoscenza di tutti, come il “fagotto”: un gruppo di esseri umani catturati a caso, legati insieme strettamente ad una bomba a mano, fatta esplodere al centro. Questa dunque è la colpa di Anna, la causa-effetto: aver dato notizia che in un Paese ritenuto normale, alleato di governi democratici, si pratica un preciso disegno di annientamento di intere popolazioni.

Quando ascoltiamo un racconto o una storia, la nostra mente è come se facesse un viaggio lontano per fornirci immagini sbiadite o prive di colore. Il racconto di Anna purtroppo non arriva da lontano, non ha dovuto prendere strani mezzi di locomozione per giungere fino a noi, ma rappresenta l’oggi. Pensare che il mandante del suo assassinio, lo stesso della strage in Cecenia, vive in pace all’interno di una finta democrazia, ci fa accapponare la pelle. Quando assistiamo ad una storia come questa, vorremmo che al termine il “lupo cattivo” fosse giustiziato e il male annientato. Restiamo dunque feriti, dopo questo spettacolo non c’è anestetico, non c’è cura immediata. Il risultato è una ferita aperta, la ferita della verità: difficile da comprendere quanto necessaria, tanto lontana da noi e così vicina che occorreva conoscerla.

Giungiamo infine alla messinscena che ha portato alla luce il racconto di Anna Politkovskaja.

Minimalista ed efficace la regia di Silvano Piccardi, usa colori puri e tagli di luce che disegnano linee e croci sul palco, dando direzione e movimento all’azione.
Di forte impatto emotivo le musiche per arpa eseguite dal vivo dalla bravissima Floraleda Sacchi: le corde della sua arpa entrano nel racconto, riproducendo suoni ed emozioni interiori ed esteriori, dure, ironiche e malinconiche.
Ottavia Piccolo si muove con eleganza e leggerezza, come candida neve che cade sulla scena, in un silenzio avvolgente, attraversato unicamente dalle cadenzate note d’arpa e dalla sua profonda voce, megafono di dolorose parole di sangue, provenienti dal testo impeccabile di Stefano Massini.

L’attrice sfodera una delle sue migliori interpretazioni, con voce inesorabile e calma entra nell’anima della giornalista uccisa e come una medium la fa rivivere sulla scena. Non c’è pausa o silenzio superfluo: con ritmo inviolabile, le esecrabili rivelazioni di Anna Politkovskaja-Ottavia Piccolo precipitano sugli spettatori confinandoli in intime commozioni.