
[rating=4] Nella sua stanza, lo stanco re è circondato dalle sue figlie, in un momento di delirio senile, decide di abdicare e di dividere il regno in proporzione all’amore che ogni figlia gli dimostrerà. E sacro è il rituale con cui ciò avverrà. Goneril e Regana accettano, mentre Cordelia decide di non prestarsi a questo “gioco” insensato del potere, scatenando l’ira del padre che la ripudia, esiliandola dal regno.
E così simbolicamente il re smembra il suo corpo-mantello, donandolo a Goneril e Regana.
E’ l’inizio della sua caduta, lui che si credeva simile agli dei, intoccabile, pensa che spogliandosi del suo potere umano gli resterà quello divino, ma pecca di “ybris” e la sua tracotanza verrà punita. E’ un eroe tragico fino in fondo, forse simile ad Edipo e come lui destinato ad una lacerazione profonda del suo essere a causa della sua cecità.
Incomincia la tragedia dell’inganno, della follia e dell’ingratitudine; parallemente alla vicenda di Lear si snoda quella del conte di Gloucester e dei suoi due figli Edmund ed Edgar. E’ possibile la catarsi di fronte a tanto orrore? Forse no, il sangue dei giusti non riesce a lavare i peccati degli altri. Simbolicamente la tempesta tenta di ricomporre il disordine degli elementi, la Natura cerca di arrivare laddove l’uomo ha fallito.
Dipasquale mette in scena la più allegorica delle tragedie di Shakespeare, i suoi malvagi Edmund, Regana, Goneril sono personaggi in cui il male domina incontrastato; sceglie di donare alle figlie del re figure androgine, per sottolineare come abbiano fagocitato i loro consorti e come rappresentino così perfettamente la concezione del potere maschile che Lear ha trasmesso loro.
Accanto a questi personaggi, Dipasquale schiera quelli che sono alla perenne ricerca di qualcosa: Lear dell’amore per Cordelia, Kent alla ricerca del suo padrone, Edgar di una nuova identità che non lo costringa a rinnegare suo padre e il Matto alla ricerca del suo nulla.
Una messa in scena efficace, che conserva il prezioso linguaggio originale e che, con simmetrie studiate, disegna tutto lo spettacolo attorno al pubblico, un cast di attori di alto livello guidati da un Lear- Rigillo folle e commovente.
Un’atmosfera, quella del palco di villa Borghese, che fa rivivere appieno la magia del Bardo e di questa sua tragedia destoricizzata.
E così impietose ad osservare la caduta di Lear assistono anche le stelle capitoline, causa forse dell’infelicità umana ” incolpiamo delle nostre sciagure il sole, la luna e le stelle come se fossimo canaglie per necessità, sciocchi per obbligo celestiale.. ecco l’eccellente stupidità del mondo”. Edmund non ci crede, eppure il destino di Lear, ossimoro vivente, male e bene, divinità primordiale, sembra essere scritta proprio in quegli astri che da quaggiù osserviamo malinconicamente.