Latella smembra il “Servitore di due padroni” di Goldoni

[rating=1] Interno di albergo, una cameriera che pulisce con l’aspirapolvere, un signore, che sembra il padrone, da le direttive. Lo spettacolo “Servitore di due padroni” al Teatro Storchi di Modena, per la regia di Antonio Latella e il testo di Ken Ponzio, inizia in modo non convenzionale ma questo era ampiamente prevedibile.

La storia di Goldoni è solo un pretesto, il vero obiettivo è mostrare la falsità delle maschere che compongono l’opera e smontarle pezzo per pezzo, mostrando quello che ci sta dietro. Si cerca anche di stupire e depistare il pubblico, destrutturando completamente il messaggio e le credenze che ognuno di noi ha quando va a vedere un’opera teatrale. Ad esempio Arlecchino abbandona il suo completo colorato per vestire dei panni bianchi, Pantalone entra in scena ironicamente senza pantaloni, etc.

La prima parte, che forse ha solo funzione “preparatoria”, è contrassegnata dal padrone di albergo Brighella che legge le didascalie del testo di Goldoni in un telefono e quindi corre dal suo posto al telefono di continuo. L’idea è carina, un po’ ripetitiva, sempre uguale, martellante, alla fine noiosa. Molte altre intuizioni registiche sono portate  all’eccesso, con ripetizioni e “zavorre” varie fino a farle diventare quasi insopportabili. Un esempio è la lettura di un brano dell’enciclopedia riguardante la figura di Arlecchino, letta da lui stesso! Tutto ciò sfocia nella seconda parte dove l’unica intuizione interessante (anche se non nuova per Latella!) è il completo smantellamento della scenografia, che lascia il palco vuoto e disintegra completamente la visione teatrale come universalmente riconosciuta. Il monologo della cameriera che sul proscenio ci urla una serie di ovvietà e dichiarazioni populiste non fa che rafforzare la frase che Pantalone dice più volte: “devo pensare”, poi si mette davanti alla televisione accesa. Le argomentazioni sono inconsistenti ma l’enfasi dell’attrice strappa un seppur lieve applauso, segno che ironicamente la mancanza di messaggio può emozionare e creare consenso ugualmente e noi ne siamo le cavie?!

Servitore di due padroni

La continua destrutturazione del messaggio teatrale, la rottura dei ruoli, la struccatura delle maschere, fino al desolante vuoto, dove gli attori risultano pesci fuor d’acqua perché sono falsi in un mondo che li scopre falsi, risulta pesante. E’ impossibile riempire quel vuoto e gli attori si limitano a imitare, come Arlecchino che ripete il “lazzo della mosca” quattro volte, controllato nei minimi movimenti dagli altri protagonisti, o come la scena mimata sul proscenio, che sembra non finire mai. “Ci manca solo un nudo integrale”, ho pensato a questo punto, ma puntualmente non sono stato smentito.

Uno spettacolo che vuole scuoterci, che non si sintonizza con il pubblico, che vuole solo distruggere e non ricostruire.

Triste notare persone che a venti minuti dalla fine si alzano e se ne vanno, come altrettanto brutto è vedere gli attori, alla riapertura del sipario per gli applausi finali, che vengono accolti da tanti cappotti e sciarpe già indossati e qualche fischio… Anche questa è destrutturazione del messaggio teatrale, no?!

2 COMMENTI

  1. Se questo è il nuovo teatro, viva il vecchio teatro. E’ sufficiente affermare che Goldoni è stantio per fare buon teatro? Io penso di no.

  2. Uno spettacolo vecchio, una avanguardia anni 70 mal digerita, un velleitarismo che punisce gli spettatori e gli incolpevoli attori. Il massimo del degrado si raggiunge con le banalità declamate dalla cameriera d’albergo, che la cadenza americana ci obbliga (!!!) ad ascoltare con ammirazione (????).

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