L’apparenza inganna di Thomas Bernhard

Al Teatro delle Passioni di Modena, per la regia di Federico Tiezzi, con Sandro Lombardi e Massimo Verdastro, sul testo di Thomas Bernhard

“solo quando siamo morti ci accorgiamo che prima esistevamo davvero”

Un’insieme di piccole sbarre di ferro sospese a mezz’aria, attaccate ad un trespolo. Il canarino, oramai abituato a tanta gente che lo fissa, saltella da un piano all’altro della sua gabbia, così come fa Karl, anche lui imprigionato nel suo passato e nei ricordi della defunta moglie Mathilde, passando da una stanza all’altra. Così si apre lo spettacolo l’apparenza inganna al Teatro delle Passioni di Modena, per la regia di Federico Tiezzi, con Sandro Lombardi e Massimo Verdastro, sul testo di Thomas Bernhard.

Karl e Robert sono fratelli ormai in pensione ma costantemente ancorati al loro glorioso passato: Karl era un importante giocoliere, Robert un famoso attore. Ogni martedì e giovedì si fanno visita, l’uno in casa dell’altro. Questo rituale è in essere dalla morte della moglie di Karl, che ha lasciato il villino del weekend in testamento a Robert. Questo fatto lancia dubbi sul vero rapporto fra Mathilde e il cognato, ombre mai dipanate nella piece. Karl, come ogni martedì, si prepara per ricevere il ritardatario Robert: si veste, posiziona correttamente le sedie, compie un preciso rituale quasi meccanico, ripetuto milioni e milioni di volte. La sua casa è legnosa, ruvida, spigolosa.

Nel suo monologo di “attesa” (se si esclude il “dialogo” con il canarino) i ricordi si accavallano senza seguire una linea logica, sono sprazzi di pensieri incompiuti e passeggeri. Rivive la morte della moglie, “non stava poi così male col suo vestito grigio sul letto di morte”, ci racconta il suo lavoro e il lusso che si è permesso a “smettere nel mio 50mo compleanno”, lo sforzo che ha fatto per insegnare alla moglie il tedesco e la musica, la salvaguardia dei vestiti di lei, di cui non vuole disfarsi e che raccoglie in due enormi bauli sullo sfondo. Non vive l’oggi, i ricordi sono l’unica cosa che gli resta, oltre alla morte: “la cosa migliore sarebbe non alzarsi più”. La sua superbia lo porta a mostrarsi migliore del fratello: “un attore se sbaglia può fingere, un artista giocoliere no”. Il suo cruccio è il villino del weekend a Robert, è quasi un’ossessione ormai, anche se gli è completamente ignoto il motivo che ha spinto la moglie nel suo testamento.

Con il consueto ritardo arriva l’ipocondriaco Robert. La visita è formale e rigida, con soventi frecciatine e freddure fra i due, intervallate da lunghi ma espressivi silenzi. Anche Robert è distrutto dalla morte di Mathilde, “resto tutto il giorno seduto a fissare il pavimento […] scrivo lettere per evitare che le serate siano troppo lunghe”, “volevo uccidermi, cercavo di distrarmi leggendo romanzi scadenti”. Al termine della visita i due escono e il pubblico viene fatto uscire dal teatro e portato in un altra platea, con un’altra casa sulla scena, quella di Robert. Questa particolarità era contemplata nella prima scrittura dello spettacolo, ma poi alcuni teatri non offrivano la possibilità del doppio palco e si doveva utilizzarne uno soltanto. Doversi alzare per andare fisicamente in un’altra situazione è un po’ come ripercorrere il tragitto da casa di Karl a quella di Robert e viceversa ogni martedì e giovedì.

Robert non è mai riuscito a recitare il Re Lear di Shakespeare e questa è la sua maledizione. Ingoia pasticche di varia forma e dimensione, aspettando la visita del fratello. La sua casa è più calda e comoda, ma con le stesse lampade del fratello. Posiziona anche lui le sedie in modo preciso nello spazio, temendo la meticolosità del suo ospite. Non fa che tentare di compiacerlo, ovviamente senza riuscirvi.

L’uomo di Bernhard è ormai inutile, la vecchiaia e la perdita di affetti lo fa solo galleggiare, sopravvivere. I due fratelli sono simili ma diversi, ancora in contemplazione di Mathilde che, seppur dall’aldilà, regola le loro giornate e congela la loro esistenza. Il testo di Bernhard è profondo e tagliente, con qualche spunto comico che il regista ha saputo ben cogliere e sfruttare.

Bravi e rodati gli attori, Massimo Verdastro mostra bene le indecisioni del suo personaggio e Sandro Lombardi, forse con un eccessiva punteggiatura delle espressioni che scade nella non verità specie all’inizio, ma che poi recupera successivamente.