
[rating=5] Riproporre in scena, oggi, Carlo Goldoni è testimonianza di conoscenza e vera passione per il teatro. Corrado d’Elia, in duplice veste di regista e interprete, ha il merito di proporre al pubblico una lettura originale e brillante della Locandiera. Visione spregiudicata dell’eterna guerra tra i sessi: “sono gli uomini a dover temere le donne o viceversa?”. La commedia rivela con estrema ironia e acume psicologico quanti e quali meccanismi si celano dietro ai cliché del gioco di seduzione: dalla sudditanza alla ostentata misoginia.
La locandiera è – fra le opere del repertorio goldoniano – una delle più moderne: nei rapidi cambi, nei dialoghi ironici e taglienti quanto nella visione innovativa della donna: elemento di forza motore stesso della commedia.
Mirandolina e gli uomini. La sfida è aperta e il campo di battaglia è la locanda. Ogni straniero o nobiluomo è fatale che ceda alla grazia e alla schietta bellezza dell’avvenente Mirandolina. Sicurezza e spirito polemico per una donna indipendente che esercita, con piglio alla Don Giovanni, il proprio ascendente sull’uomo. La vita scorre piatta e routinaria sino all’arrivo del “selvatico cavaliere”: nuova e stimolante sfida da intraprendere. La locandiera, interpretata da Monica Faggiani, domina perfettamente la scena in un giusto connubio di leggerezza e temperamento.
Una casa in rosa. Nelle scene di Corrado d’Elia si palesa una visione estetica innovativa. Le pareti rosa, gli elementi scenici essenziali rievocano l’immagine di una casa di bambola artificiosa e volutamente bidimensionale. Ogni aspetto o singolo elemento della messa in scena contribuisce a definire una categoria temporale astratta: collocabile idealmente fra anni settanta e ottanta.
Reinterpretazione del tema della femminilità, nella figura di Mirandolina, è pensato in netta contrapposizione con il carattere stesso del personaggio. Dietro alla parvenza da bambola priva di spessore si cela il carattere centrale della commedia.
Dinnanzi alla interpretazione kitsch anni settanta del Conte di Albafiorita o negli anacronistici manierismi del Marchese di Forlipopoli si contrappongono rigore e severa semplicità del Cavaliere. La coppia di comiche è resa con efficacia, nel duo en travesti, aggiornandone il senso stesso della finzione. Scelta musicale articolata: spazia dalla hit anni 80 “Amoureux Solitaires” di Lio (motivo che accompagna il succedersi dei brevi quadri scenici) alle arie tratta dalle nozze di Figaro, cantate dal Marchese di Forlipopoli.
Ottimo il cast d’interpreti e caratteristi: il duo di rivali in amore Alessandro Castellucci e Gustavo la Volpe persi nelle infinite schermaglie. Accattivante la sguaiataggine della coppia: Tino Danesi e Andrea Tibaldi, quanto le gelose ripicche di Andrea Brambilla nel ruolo di Fabrizio, servitore e aspirante sposo. Commedia graffiante e leggera è consigliata ad un pubblico aperto alle novità e dotato d’ironia.