
Dopo il debutto del 2018 al Teatro San Ferdinando, torna in scena fino al 13 novembre con un nuovo allestimento al Teatro Bellini di Napoli, La Cupa di Mimmo Borrelli, spettacolo onirico e spettrale a cavallo tra fabula e tragedia moderna.
Sotto il tetro disegno luci di Cesare Accetta che rabbuia più che illuminare la scena, Mimmo Borrelli sfila con le sue bestie umane mostrando al pubblico i vizi e i peccati più raccapriccianti dell’uomo.
E’ la notte di Sant’Antonio, quella in cui gli animali prendono la parola e possono parlare ma non essere ascoltati, perchè la loro voce umanizzata getta sciagure e maledizioni su chi le ode. Un uomo dal nome parlante di Innocente Crescenzo (Gaetano Colella) arriva col suo maiale in una cava, la cupa del titolo, gestita da un branco di lupi. Sono loro i protagonisti del dramma, autori di una violenza inaudita e indistinta che in passato ha portato all’abuso di bambini e alla loro vendita di organi, orrore di cui tutti sanno ma di cui nessuno vuol parlare, e che in scena provocherà la distruzione di due giovani amanti (Renato De Simone e Rossella De Martino) colpiti da vigliaccheria, sete di potere e di sesso e maldicenza.
Ai due innocenti innamorati il drammaturgo contrappone due padri disumani, uno violentatore vizioso e senza scrupoli (Maurizio Azzurro), l’altro vigliacco, tormentato dal senso di colpa di aver abbandonato la famiglia e tornato dalla figlia spacciandosi per fratello perchè non degno di sentirsi padre (Mimmo Borrelli); come voleva la tragedia greca, sui figli ricadranno le colpe dei padri anche quando Crescenzo tenterà invano di spezzare questa catena ancestrale di peccati e punizione.
Ad una storia già carica di messaggi forti e disturbanti, Borrelli aggiunge una lingua antipoetica, viscerale e mostruosa, un linguaggio che è, a detta dello stesso autore, “volutamente inquinato di allegorie, metafore, iperboli, lessico iconoclasta e enologie blasfeme” e che è incalzato e acuito dalle percussioni di Antonio Della Ragione.
La Cupa attraverso il testo, la musica e le scenografie immersive e potentissime di Luigi Ferrigno riportano lo spettatore a una dimensione viscerale e ancestrale del teatro che rompe la quiete borghese e la disturba proprio come doveva fare il dionisiaco di cui parla Nietzsche nel suo saggio La nascita della tragedia.
La Cupa non è uno spettacolo facile da seguire: è lungo (ben tre ore!), è asfissiante a volte con tutto quel buio e il fumo e la sfera che pende dal soffitto, è assordante con i battiti del tamburo incessanti e il turpiloquio urlato, è disturbante per come indugia sulla violenza sessuale di cui ogni personaggio in scena è vittima e/o autore e per questo (o nonostante questo, fate vobis) merita di essere visto.
Non pensate di andare a vedere un’opera bella, di rilassarvi, di passare una serata come le altre perchè assistendo alla mise en place de La Cupa sarete turbati e infastiditi e avrete voglia di andare via e metà spettacolo ma uscendo dal teatro vi sentirete più leggeri perchè purificati dai vostri mali inconfessabili, come volevano gli antichi che inventarono la tragedia per arrivare alla catarsi.