
Questo è uno spettacolo sulla musica, o è musica su uno spettacolo? Il confine tra teatro e concerto risulta instabile e lo show, seppur cristallino, tecnicamente solido, piacevolmente surreale, non esaurisce le sue risorse e non si sforza minimamente di andare oltre la bravura degli attori/cantanti e oltre la bellezza scenica. Esso risulta quindi un esperimento leggero, che probabilmente ha poco da dire ma che si presenta, senza dubbio, elegante nella fattura.
Intrigante nella sua semplice ingenuità la scenografia, che ripropone una camera d’albergo dalla tappezzeria verde acqua, con tanto di porta laterale che conduce al bagno e di pianta finta sul proscenio. Lo stile dell’ambiente lascia intendere che la storia – o l’esecuzione – si svolge nel corso degli anni ’60 del Novecento, e anche gli abiti – bellissimi – della protagonista contribuiscono a rafforzare quest’idea.

Un uomo è sotto le coperte fin dall’inizio, fin da quando il pubblico inizia a popolare il Fabbricone. Dopo uno spassoso annuncio registrato in cui si invitano gli spettatori a tossire e a non riguardarsi dall’emettere rumori fastidiosi, il personaggio si alza e dopo un paio di gargarismi si siede al pianoforte, dove accompagnerà incessantemente gli attori/cantanti. I protagonisti: marito e moglie, coppia di amanti, colleghi? Non lo capiamo. A disturbare la monotonia di gesti ripetitivi e di Lied troppo spesso cantilenanti, arriva in soccorso la terza attrice, una signora avanti con gli anni che compie il ruolo fondamentale di distrarre con monologhi astratti e confidenziali, instancabili entrate e uscite, semplici azioni illuminate di comicità (esempio sistemare un leggìo che non vuole stare in piedi; o mangiare spaghetti dalla borsetta).
I due protagonisti intonano, dall’inizio al termine di King Size, un repertorio musicale vasto, che spazia da Schubert e Mozart ai Jackson 5, esplorando il rapporto tra suoni e relazioni umane. Il gioco amoroso tra l’uomo e la donna è ricalcato dal canto, che rafforza le situazioni: il primo appuntamento, il rapporto fisico, le incomprensioni, il sonno che non vuole arrivare. L’interpretazione delle scene è solo frutto dell’immaginazione dello spettatore, perché in verità niente della parte canora o parlata spiega esplicitamente le fasi emotive e comportamentali dei due personaggi.
Musica classica/barocca e musica pop si legano in un’atmosfera nordica – impeccabile, pulita e grottesca – che vuole costantemente andare sopra le righe, uscire fuori dallo spartito. Tutto in King Size cerca di parlare il linguaggio dell’originalità; forse lo scopo è pienamente raggiunto, ma la stratificazione emotiva che un ricercato spettacolo di prosa deve regalare, non è emersa.
Gli attori hanno però incorniciato il quadro con una precisione e una volontà ammirevoli, sostenendo l’opera e rendendola, se non altro, lieve e a tratti divertente, grazie anche al contrasto fisico lampante, tra la bassa statura dell’uomo e l’altezza della donna – una moderna, affascinante valchiria. Il tedesco dei canti e delle parole narrate si rivela melodioso e amalgama gli spostamenti dei personaggi da un luogo all’altro della scenografia, buona trovata che rende il palco un luogo vivo, nota positiva dello spettacolo.