
Chapeau per il pluripremiato The History Boys firmato dall’affermata coppia Ferdinando Bruni e Elio De Capitani dell’Elfo Puccini di Milano, andato in scena nei giorni scorsi al Teatro Manzoni di Pistoia.
La commedia nata dalla penna british di Alan Bennett ha conquistato prestigiosi premi oltremanica e la messinscena dell’Elfo ha riscosso ben tre Premi Ubu 2011: miglior spettacolo dell’anno, miglior attrice non protagonista (Ida Marinelli), miglior nuovo attore under 30 (tutti gli “studenti” dello spettacolo). L’azione si svolge nel 1985 e sono gli studenti di una classe all’ultimo anno di un college inglese i protagonisti della vicenda, circondati dagli stimoli culturali e anticonformisti dati dal professore di inglese, Hector e della professoressa di storia, Mrs Lintott in contrasto con l’arrivismo del preside che li vuole ad ogni costo far approdare ad Oxford o Cambridge, per accrescere il buon nome della scuola. In questo clima di guerra fredda tra poteri scolastici (preside contro professori) si inserirà Irwin, un giovane cinico professore precario, incaricato dal preside di creare una sorta di “packaging” al sapere dei ragazzi, per meglio “venderlo” sul mercato del prestigio universitario. Nascerà così uno scontro metodologico tra il vecchio bizzarro professore amante dell’arte e della cultura come forma contenutistica dell’essere e il giovane rampante che da esperto uomo di marketing, cercherà di ribaltare la visuale dei ragazzi, mirandola dritta all’obiettivo finale: successo, prestigio, Oxford, Cambridge. I due diversi modus operandi, figli di due ere e di due visioni di vita completamente opposti, “forma e contenuto”, rievocano domande sui giusti valori che la scuola deve trasmettere ai giovani, e quanto spazio resta per il valore primario o superfluo della cultura.
Perfetta l’ambientazione e la recitazione fredda, in alcuni punti glaciale, all’inglese, che l’intero cast di attori mostra per tutte le due ore e mezzo dello spettacolo. I giovani “studenti” danno anima e corpo ai loro personaggi, facendoli vivere in scena e connotandoli in personali caratteristiche, si ha così la percezione di essere sempre di fronte ad otto distinti individui che formano una classe. Buona la prova di Marco Cacciola che porta lentamente alla luce le insicurezze nascoste dietro un falso cinismo, figlio di débâcle interiori, del giovane professore Irwin.
Essenziali le interpretazioni di Ida Marinelli e Gabriele Calindri, nei panni rispettivamente di una tenera Mrs Lintott e di un ossessionato Preside.
Un gradino sopra tutti l’esaltante prova d’attore di Elio De Capitani, che si trasforma magistralmente in Hector, un professore sui generis, alternativo, geniale con quel pizzico di follia che gli sprizza da tutti i pori, un insegnante che ognuno avrebbe voluto avere. È lui il perno su cui ruota tutto lo spettacolo, dettando i tempi e porgendo la mano ai giovani allievi anche in campo teatrale. C’è da stupirsi su come una tale interpretazione non sia stata presa in considerazione per un ulteriore premio UBU, forse quattro erano troppi?
Efficaci le luci che seguono la dinamica dell’azione e la scenografia che ricrea un ambiente scolastico “open space” dove tutto è sempre in scena, dagli armadietti, alla lavagna, fino alla cattedra del preside.
La regia è un altro fiore all’occhiello dello spettacolo che mantiene pulizia, ritmo ed energia per tutta la rappresentazione. Gli attori sono sempre in scena e tengono viva l’azione grazie a freeze, canti e coreografie esilaranti.
Innumerevoli le citazioni di poeti, scrittori, film e canzoni in gran parte britanniche. Il testo di Bennett è un vero gioiello, un elogio alla cultura e al mero piacere di sapere. Una cultura, che come ricorda Hector, «non è mai generale, ma è sempre specifica».
Fluenti applausi del pubblico del Manzoni hanno sottolineato un alto gradimento dello spettacolo, al quale ci associamo caldamente.