
Ha debuttato lo scorso 16 giugno a Palazzo Reale, nell’ambito della rassegna del Napoli Teatro Festival 2018, lo spettacolo della compagnia Crown Theater, Full ‘e fools, scritto da Paolo Romano.
Questo nome, detto così, forse non dirà molto, è il caso allora di aggiungere il suo nome d’arte ovvero Sha-one, lo street artist di fama internazionale, rapper e fondatore del gruppo La Famiglia, tra i primi protagonisti della cultura underground a Napoli.
Il Full di “fools” del titolo sono i quattro protagonisti, due donne (Rossella Amato e Marcella Granito) e due uomini (Paolo Romano e Gianluca D’Agostino) accomunati dallo stesso destino di emarginati, senza tetto rigettati dalla società che campano facendo piccoli furti e scavando nei bidoni dell’immondizia. Con loro c’è il piccolo Pazziarello (Gabriele Carlo D’Aquino), bambino muto che si esprime scrivendo brevi frasi su dei post-it.
Proprio sua è l’idea di fare una mano di poker in cui i partecipanti devono mettere in gioco quello che hanno di più importante, ovvero: uno specchio rotto, un giglio, uno scrigno di legno e un coltello d’argento.
Ma proprio questo rischio di perdere qualcosa a cui sono legati fa scattare nei protagonisti un momento di riflessione personale e di racconto, una seduta di psicoanalisi collettiva durante la quale ognuno di loro racconterà cosa lo ha portato sulla strada e cosa si è lasciato dietro.
Le quattro storie di questo Full ‘e fools sono dolorose, fatte di lacrime e di perdite, di occasioni perse e di sogni infranti e ai protagonisti sembra tolta la speranza di un riscatto.
La chiusa dello spettacolo è una voce fuori campo che provocatoriamente si rivolge ai benpensanti che hanno assistito allo spettacolo turbati dal degrado che è stato messo loro davanti.
Se l’intenzione però è quello di scuotere il pubblico, di farlo riflettere sulla situazione di coloro che vivono ai margini di una società che sempre più dà attenzione solo ai vincitori mentre calpesta i vinti, il risultato non è viene del tutto raggiunto e Full e’ fools rimane in superficie senza coinvolgere troppo lo spettatore.
Questo avviene secondo me per due motivi: la lingua, in primis, non perchè Romano scelga il dialetto napoletano per dare voce ai suoi personaggi ma perchè la carica oltremodo fino a rarefarla, il fatto che sia un rapper, abituato quindi a giocare coi suoni, con le assonanze e le rime, si riflette troppo nel testo, i quattro parlano in versi, a ritmo serrato e innaturale ed è difficile trovare un’identificazione in loro; e poi per le storie raccontate, anacronistiche e inusuali, lontane dal sentire quotidiano e incapaci di creare una comfort zone in cui lo spettatore può riconoscersi ed empatizzare.
I richiami alla grande drammaturgia (in particolare quella shakespeariana), la teatralità dei personaggi, la recitazione talvolta eccessivamente rimarcata, penalizza l’aspetto emotivo di uno spettacolo, quale Full ‘e fools, con un grande potenziale narrativo dato dalla ricchezza degli spunti che indubbiamente il testo dà al di sotto della sua patina rarefatta e dalla bravura degli attori (lo stesso Romano si conferma un artista poliedrico e versatile).
La parte più toccante è forse nei dettagli dei costumi (scelti dallo stesso Romano) e dei disegni di luce di Peppe Santi che danno corpo all’atmosfera cupa e degradante e alla miseria umana in cui i quattro protagonisti vivono, riuscendo a levare qualche mattone a quel muro invisibile che la prosa complicata del testo innalza tra il palco e la platea.