
Morte in scena. Senza esclusione di colpi.
Stavolta i burattini non sono adatti ai bambini, dove di solito una manganellata è la peggior sorte che può accadere all’Arlecchino di turno. Lo spettacolo “Famous Puppet Death Scenes” fa sul serio, ed affronta in modo visivamente sorprendente l’argomento più evitato dai viventi, il tema della mortalità e della fragilità della vita, in una produzione che si muove tra il grottesco e il poetico, con una forte dose di nonsense.
Frutto del talento creativo della compagnia canadese The Old Trout Puppet Workshop, da poco partecipe con le sue marionette al settimo episodio della quinta stagione di “Fargo”, “Famous Puppet Death Scenes” riporta in vita le scene di morte (tragicomiche) dei più grandiosi spettacoli di marionette (immaginari) nella storia, andato in scena in prima nazionale, dal 25 al 28 gennaio, al Teatro Fabbricone di Prato.

Rappresentazioni stravaganti e macabre che catturano gli ultimi istanti di vita di personaggi ignari di quello che da lì a poco li attende: la morte. Come il pugno gigante che in varie scene schiaccia la testa dello sfortunato Nordo Frot, o le potenti raffiche di vento che disintegrano, pezzo per pezzo un viandante, o come la fine che a volte arriva semplicemente scegliendo la porta sbagliata, ma anche quella giusta.
Con una deviazione dal macabro al realistico, vediamo l’occhio di una balena gigante che si apre e si chiude lentamente per sempre, o un anziano che esala i suoi ultimi respiri. Non ci sono parole finali toccanti o retoriche, ma solo un silenzio angosciante, in un confronto immediato con la vulnerabilità della nostra esistenza.
“Famous Puppet Death Scenes” è una creativa miscellanea di humor nero da dove emergono le abilità delle tre marionettiste/attrici Louisa Ashton, Aya Nakamura, Teele Uustani, impegnate sia dietro le quinte che sulla scena, partecipando attivamente con molta mimica caricaturale alla narrazione surreale dello spettacolo.
Colpisce la varietà di stili drammatici esplorati, e l’innegabile creatività delle varie messinscena, alcune davvero sorprendenti, altre semplici abbozzi e troppo brevi per lasciare il segno.

Insolita, quanto gradita, la scelta di portare una produzione di teatro di figura all’interno della stagione teatrale pratese del Teatro Metastasio, come testimonianza di come questa forma d’arte scenica minimalista possa essere ricca e capace di trasmettere con pochi elementi, forti emozioni e spunti di riflessione.
Il design dei pupazzi e degli oggetti di scena è il vero fiore all’occhiello dello spettacolo, un piccolo capolavoro di inventiva e di minuziosi dettagli. Dalle marionette più realistiche a quelle più fantasiose, all’utilizzo di libri pop-up, lenti di ingrandimento, ed altri effetti scenici tra lo splatter e il sorprendente. Una natura cinica e graffiante che rievoca le animazioni di Terry Gilliam all’epoca dei Monty Python.
Sottilmente, l’introspezione sulla fragilità della vita e l’incondizionato attaccamento ad essa emergono. E nonostante la fugace speranza che il pugno gigante manchi almeno una volta il povero Nordo Frot, siamo consapevoli che ciò è inevitabile. Amen.