Dopo la Bora, un ritratto della legge Basaglia dagli occhi dei suoi pazienti

In scena allo Spazio 18b il testo di Francesca Miranda Rossi vincitore dell'edizione 2024 del premio drammaturgico Artigogolo scrittori per il teatro.

Il 13 maggio di quest’anno la legge Basaglia compirà 45 anni. Franco Basaglia è per la vulgata lo scarpettiano “medico dei pazzi”. Per la storia del nostro paese invece, il nome dietro la legge che segna la definitiva chiusura dei cosiddetti “manicomi” in Italia. A lui si deve uno studio profondo delle malattie mentali, intrecciato con principi filosofici che porteranno alla fine degli anni ’70 a una riaffermazione del paziente psichiatrico come individuo. Qualcosa che oggi può sembrare un’ovvietà, ma che è stato invece il frutto di un percorso umano e professionale fitto di non pochi ostacoli.

Francesca Miranda Rossi drammaturga vincitrice dell’ezione 2024 del premio Artigogolo scrittori per il teatro racconta in Dopo la Bora questo delicato passaggio. Un momento di transizione necessario e complesso. Tanto per i pazienti che per le loro famiglie. Lo spettacolo già andato in scena a Roma al Fortezza est e in residenza al Teatro Biblioteca Quarticciolo, arriva allo Spazio 18b in due reliche dal 14 al 15 marzo 2025. L’asset drammaturgico è scomposto e invita lo spettatore a raccoglierne pian piano i pezzi per formare l’intreccio. Gli fanno perno le tre Babe. Tre donne qualsiasi che commentano la chiusura dell’ospedale psichiatrico di Trieste, in qualche modo emblema di questa trasformazione epocale.

La triade ritorna anche nel racconto degli stessi pazienti: Tinta (Isabella Delle Monache) e Giovanna (Federica Dordei) da una parte e Antonia (Giulia Chiaramonte) dall’altra, che invece incarna i dubbi e le istanze di chi il “matto” lo aspetta a casa. Una pièce inaspettatamente leggera, nonostante il tema. Sfida le fredde sferzate della Bora da nord-est, vento di montagna che scende al mare, fino al Molo Audace, a scompigliare le anime dei vivi e i capelli delle statue. È un racconto che prende per mano quello di Francesca Miranda Rossi e che accompagna quasi con dolcezza lo spettatore. Lo porta piano a scopire il dentro dei pazienti, come gli stessi scoprono invece il fuori accompagnati da Marcocavallo. L’enorme statua di legno e carta pesta azzurra che simbolicamente Basaglia fece sfilare coi suoi “matti” a Trieste, quando per la prima volta si erano aperti i cancelli del San Giovanni.

Un cavallo di Troia al contrario, nella cui pancia al posto di guerrieri e spade si cullavano sogni e speranze di chi aveva vissuto solo interminabili anni di reclusione. La dialettica del dentro-fuori è d’altra parte preponderante in Dopo la Bora. Riesce a raccontare in modo delicato un momento storico che invece ha segnato lacerazioni profonde, nei corpi stessi di chi lo ha vissuto, ma pure nella società.

Francesca Miranda Rossi, autrice di Dopo la Bora in scena allo Spazio 18b di Roma dal 14 al 15 marzo 2025.
Francesca Miranda Rossi, autrice di Dopo la Bora in scena allo Spazio 18b di Roma dal 14 al 15 marzo 2025.

Esemplare quasi allegorico in tal senso il personaggio di Antonia, magistralmente reso da Giulia Chiaramonte, forse il più intenso dei tre. Ma meritano in questa sede gli elogi di scrive anche Isabella Delle Monache e Federica Dordei che firma parimenti la regia. Una regia che viaggia sulla spinta della coralità. Il meccanismo delle comari affacciate e del coro delle loro voci ciarliere, seppur non originalissimo, ne è l’ideale propulsore. E allora il “babar a Barcola”, banalmente la chiacchiera da lungomare, si configura in qualche modo come la leva che spinge questo testo verso impalpabili altezze calviniane.

Tutto è come sospeso in una dimensione volante fra il reale e l’onirico, in quello spazio azzurro come Marcocavallo, appena fuori dalla miniera in cui un tempo si portavano i canarini in gabbia. Era il loro canto infatti improvvisamente interrotto, ad avvisare i minatori della presenza di gas tossici. Ancora dentro e fuori, gabbia e libertà, entrambe con un prezzo da pagare. Una scrittura pulita, insospettabilmente elegante per i contenuti, ma con un prezioso sguardo sui dettagli importanti, di cui il teatro contemporaneo dovrebbe fare tesoro. Mi piace allora chiosare citando una frase dello spettacolo: “le cose esistono anche se nessuno le guarda”, il mio di sguardo non potrà apportare alcun senso ulteriore a Dopo la Bora, ma sono grata che la sua esistenza abbia incontrato i miei occhi.