
[rating=2] Anima mia, mio peccato, Lolita luce della mia vita, amore mio. Così ripetendo senza tregua queste parole, da una stanza buia e priva di tutto, che è la sua cella, Humbert, ricorda la sua ossessione. E lentamente incomincia a rivivere quell’estate del 1947 in cui lascia l’Europa per trasferirsi in America per insegnare al Beardsley College in Ohio. Mentre cerca un alloggio per l’estate, presso la casa della vedova Charlotte Haze, resta folgorato dalla giovane figlia di lei: Dolores.
E da quell’istante in poi, il desiderio di Lolita lo porterà a diventare prima amante e poi marito della madre. Un matrimonio breve, segnato dalla morte improvvisa della donna che, lette le pagine del diaro in cui Humbert annota i suoi pensieri piu reconditi su Lolita, esce sconvolta in strada e muore travolta da un auto.
Privo di ostacoli, nulla sembrerebbe separare più il professore dalla sua “ninfetta”, ma il seducente commediografo Quilty sembra essere altrettanto interessato alla ragazzina. Humbert Humert, il professore, lo studioso, è goffo, impacciato, estraneo alla società e alle sue convenzioni è doppio come il suo nome: uomo benpensante e maniaco.
Non riesce ad aspettare, vuole la sua ninfetta ora e subito, prima che svanisca, prima che diventi uguale alle altre, prima che maturi, prima che sfiorisca. E così Humbert, dando vita ai suoi fantasmi, li rievoca forse per l’ultima volta, in maniera sparsa e a ognuno di loro sembra consegnare una parte di se stesso: il finto perbenismo di Charlotte, la perversione di Claire Quintly, la malizia di Lolita. E’ stato consumato dalla sua ossessione, i suoi nervi ne sono usciti logorati, il suo io frantumato, la sua anima è diventata nera, ma forse non ne ha percezione.
Humbert-Mandolini interpreta magistralemente la complessa personalità del professore, i suoi momenti di lucidità e quelli di follia interagendo in scena con un cast di attori di alto livello dalla Charlotte- Biancofiore, passando per la Lolita-Ferruccio e arrivando al Quilty -Ferruccio.
La scenografia minimalista si alterna con delle proiezioni che non convincono del tutto e risultano superflue. Perchè più che le immagini proiettate, forse alla fine sono le parole che accompagnano lo spettatore anche quando le luci si abbassano.”Era Lo, nient’altro che Lo al mattino, dritta nel suo metro e mezzo e un calzino solo. Era Lola in pantaloni, era Dolly a scuola, era Dolores sulla linea tratteggiata dei documenti ma tra le mie braccia fu sempre Lolita. Luce della mia vita, fuoco dei miei lombi, mio peccato, mia anima. Lolita”