
[rating=4] È l’ultima rappresentazione della stagione, Die Zauberflöte, qui al Petruzzelli, come opera ultima fu del suo Autore, ricapitolando in sé l’essenza stessa del genio, nel suo incessante divenir e mutare; ed è anche la prima volta che quest’opera si rappresenta a Bari, importante avvenimento culturale per la città e per un teatro che, pur attraverso le tormentate vicissitudini economico finanziarie che hanno costretto a rinunciare a una parte del programma della stagione, non abdica tuttavia al suo ruolo importante e decisivo: prova ne sia che Il flauto magico che si è scelto di metter in scena non è un allestimento qualunque: dedicato alla memoria di Claudio Abbado e diretto dal figlio Daniele, è una ripresa di quello da padre e figlio realizzato una decina d’anni fa per il Teatro Valli di Reggio Emilia, a mio parere una delle migliori messe in scena degli ultimi anni per il teatro musicale a livello internazionale, degnissimo vestito per un’opera che è uno dei capolavori della storia dell’arte umana.
Nell’assoluto opaco buio d’un palcoscenico notturno si muove ogn’artifizio possibile che il teatro sappia e possa creare: doppi fondi e funi e botole e finestre e porte e saliscendi e piani inclinati, tutti insieme a render possibile il magico trastullo dell’apparire e dello sparire, come fosse gigantesco gioco di prestidigitazione in cui non sai dove finisce il trucco e l’illusione e inizi l’incanto e la magia. Soprattutto è la luce a divenir da subito assoluta protagonista: scolpisce, cesella, plasma e crea, incessante gioco del farsi e disfarsi delle cose, degli oggetti, delle figure, dei personaggi, metamorfosi continua che corrisponde al mutar d’essenza dei personaggi e della vicenda e all’ininterrotto variare e modulare e differenziare della musica: persistente illusoria eccitazione dei sensi, che lascia alla mente nostra l’operarne sintesi perfetta e finale.
Così, prende la luce varie sembianze: ed or s’incarna nella stilizzata aliena eleganza sospesa e distante della Regina della Notte che sta come sigillo dorato, crocifissa al centro d’ametista che risplende di sua propria arrossata luce al sovracuto canto d’Astrifiammante; oppure sceglie di mostrarsi, la stessa luce, in forma ferina e cruda d’appartato rifugio di Monostato nelle fauci stesse di mostruosa gigantesca tigre, teatro nel teatro delle sue torbide passioni, lato oscuro dell’animo umano che si riverbera nell’aggraziate movenze delle fiere, ammansite, ma sol per poco, dal suono arcano e fragile del flauto di Tamino; ancora, si mostra, la luce, nell’apparenza del fuoco e della fiamma che libera sale verso l’alto, e diventa colonna di sfarfallante sfavillìo, simbolo di saggio pensiero nelle mani dei Sarastro e dei sacerdoti del tempio d’Iside, inappagato desiderio di chiarore in attesa dell’alba che verrà e del sole che, definitivo, vincerà le tenebre della notte e della morte.
Non è solo, Daniele Abbado, nell’elegante e riuscita impresa: dalla sua, naturalmente, le scene disegnate da Graziano Gregori, forte dell’esperienza – che tutta intera si riverbera e si ravvisa in questa mise-en-scène – del Teatro del Carretto di Maria Grazia Ciprini che appone il suo indelebile sigillo; il maestro Roland Boër che dirige la complessa partitura scegliendo un’attenuazione dei toni e dei tempi non sempre comprensibile; l’Orchestra e il Coro della Fondazione Petruzzelli che offrono un’ulteriore prova d’una maturità ormai raggiunta; le luci di Alessandro Carletti e i costumi di Carla Teti, così essenziali alla riuscita dell’allestimento; Alessandra Sini di cui son l’eleganti coreografie e Emanuela Aymone che ha preparato i Tre Fanciulli vincitori della difficile doppia scommessa del cantare e del cantare (e recitare) in tedesco.
Il cast dei cantanti è giovane: e questa è già una prima buona notizia; la seconda è che il loro esser giovani si riflette nella passione e nell’impegno che, interi, traspaion nella riuscita della rappresentazione. Così, Tamino e Pamina (Antonio Poli e Jacquelyn Wagner), Sarastro e Monostato (Dimitry Ivashchenko e Kurt Azesberger), Papageno e Papagena (Philip Smith e Lavinia Bini) riescono a rendere al meglio nei rispettivi ruoli, riuscendo sempre credibili e perfettamente in parte. Una particolare menzione, e per la difficoltà del ruolo e per gli applausi ricevuti, merita senz’altro la Regina della Notte di Christina Poulitsi, perfetta sia dal punto di vista attoriale che musicale.