“Il mio Verdi” di Leonetta Bentivoglio

[rating=4] Nel 200° anniversario dalla nascita del grande compositore di Busseto, arriva da Castelvecchi Editore un omaggio imprescindibile, accolto con gusto e gran piacere: “Il mio Verdi“, Quindici opere raccontate dai più grandi interpreti del nostro tempo, di Leonetta Bentivoglio, aggiornata ed ampliata rispetto al volume con lo stesso titolo pubblicato nel dicembre del 2000 dalle edizioni Socrates.

Il volume, costituito da venti interviste ai maggiori interpreti dell’Opera contemporanea, quali direttori d’orchestra, registi, cantanti, confrontatisi nel tempo con il Maestro di Busseto, ha le forti tinte di un’opera cubista (diversamente dalla copertina, chiara rielaborazione pop art alla Andrew Warhol del Ritratto di Giuseppe Verdi con cilindro di Giovanni Boldini), capace di mettere ora in luce ora in ombra, angolazioni verdiane inusuali, tra loro improvvisamente accostate in un gioco di rimandi e contrasti che arricchiscono la visione musicale in modo affascinante.

Quindici le opere analizzate così analiticamente, in un costante moltiplicarsi di punti di vista: la figura di Verdi si spezza per ricomporsi in tasselli, brevi ma intense immagini che registrano ognuna un diverso punto di vista, assemblandosi in un intimo itinerario virtuale nello spazio e nel tempo.

Artisti oggi scomparsi tornano a prender voce, per colorare di emozione il loro intenso rapporto con Verdi, il teatro, la musica ed il canto. Ed ecco allora Luciano Pavarotti definire il rapporto di Verdi con le voci “meraviglioso”, anche se nell’oggi è difficile trovare voci verdiane: “Forse perché una volta il cantante (…) era anche più selvaggio. Una specie di fiore che cresce libero sulle montagne, dove impara a lottare, a difendersi”. Splendida metafora del suo essere. Verdi la voce “la ama, la conosce, la rispetta”, come ribadisce Mirella Freni. Per Renato Bruson invece “la voce è un animale strano, sensibilissimo, imprevedibile”. Spaccato estemporaneo per gli echi della Lady Macbeth di Leyla Gencer: “una straordinaria creatura demoniaca che ha sottomesso completamente il coniuge (…) così come succede a tanti mariti. Le storie di potere, in fondo, sono sempre piuttosto simili tra loro, anche oggi.”

Tra aneddoti passati e attuali, capita di veder scolpita da Zubin Mehta una Violetta come “una delle donne più attraenti che sia dato d’incontrare”, mentre la regista Liliana Cavani scava nello straordinario senso drammaturgico di Verdi, dove “la drammaturgia è profusa nelle note, più che nelle parole”.

Accostamenti arditi tra il compositore di Busseto e Luigi Nono per Giuseppe Sinopoli, mentre Peter Stein sottolinea come “la teatralità musicale abbia caratteristiche e tempi molto diversi da quelli della teatralità tout court. Come fossero due cavalli che corrono sulla stessa pista a un ritmo sempre diverso. È il regista che deve sforzarsi di trovare il modo per tenerli paralleli”.

Interviste curate e mirate che attestano l’alta professionalità di Leonetta Bentivoglio, critico teatrale e musicale di «Repubblica», qualità avvalorata dalle brevi ma significative note sui melodrammi del compositore che ne illustrano temi, stile e svolgimento a sigillare via via le varie conversazioni.

Un’opera che sprona alla riflessione ed al dialogo, da gustarsi con parsimonia, a piccoli sorsi, come un buon sherry, per poterne apprezzare a pieno le qualità e sottili sfumature.

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