
Successo maestoso per il Macbeth verdiano diretto da James Conlon sotto la contemporanea regia di Graham Vick, evento di punta del 76° Festival del Maggio Musicale Fiorentino nel 200° anniversario della nascita del compositore di Busseto.
L’opera, su libretto di Francesco Maria Piave, rivisto e riscritto da Andra Maffei, rinnova l’inscindibile legame con la sua terra di debutto, Firenze, e dopo 166 anni torna a casa, nel bel Teatro della Pergola, la cui acustica non perdona, lasciando cantanti e orchestra nudi da qualsiasi orpello e appoggio. Il risultato è l’esecuzione superba di quella prima edizione del 14 marzo del 1847 che ritrova tutta la sua grandezza, in scene corali rinvigorite ed esacerbate nella loro drammatica forza evocativa.
Tolti i disturbanti cigolii scenografici, la regia di Graham Vick catapulta l’opera verdiana in una disarmante verità contemporanea, corroborata dalla potenza della musica che si fa specchio di un oggi deturpato dal potere e dalla corruzione in quella ciclicità maligna e assetata di sangue insita nella natura umana fin dalle origini. Ed allora Macbeth acquista le armi del soldato moderno per comprarsi il potere mafioso proprio di un gangster che richiama il Tony Montana di “Scarface”, le streghe si fanno anelito dei desideri nascosti delle anime più nere, acquistando forma e fisionomia di provocanti e degenerate tossiche, che travolgono con la loro polvere bianca le visioni di grandezza di Macbeth, la Lady prende i panni di una giovane donna in carriera, disumana nella sua scalata sociale, mentre la Scozia assume i connotati di paese malato e tiranneggiato, rinchiuso in fili di ferro spinato, casa di profughi e dolore. La regia incalza, spregiudicata nel ricreare un affresco dei potenti di oggi, i politici, tra slogan e ricevimenti lussuosi, con tanto di piscina, catering e cameramen per immortalare l’evento mondano. Geniale la scena che dà un suo perché anche ai seggiolini verdi dell’Autostazione di “Birna”, trasformandoli nella famosa foresta di Birnam.
Unica pecca le luci fredde e sparate di Giuseppe Di Iorio, sorde ai cupi colori della tessitura verdiana.
L’anima della Scozia emerge dai mirati costumi di Stuart Nunn, specialmente nel tartan che, come uno scettro, passa dalle spalle del re Duncan alle avide vesti di Macbeth, in un gioco di potere sanguinario.
Sorprende il Coro e la sua attoriale interpretazione, che si fa completamente duttile nelle mani sapienti di Vick, calandosi perfettamente nella parte protagonistica di streghe tossiche e perverse, fulcro calamitante di molteplici scene del I e III atto.
Ottima l’interpretazione di Luca Salsi, Macbeth dalla grandissima voce e spessore, protagonista nella sua assoluta sete sanguinaria di potere, connotato perfettamente nelle trame introspettive e cupe; bella prova anche per l’acuminata Lady Macbeth di Tatiana Serjan, donna terribilmente moderna nei graffianti e potenti acuti, fino allo spezzarsi della sua anima nell’intimità vocale della follia precedente il suicidio ultimo, scenograficamente non brillante nella luce artificiale di un bagno assolutamente non utilizzato. Qualche pecca per il Macduff di Saimir Pirgu, abbastanza convincente Marco Spotti nei panni del “padre” Banco, tutto teso verso il figlioletto.
Grande protagonista il maestro James Conlon e la sua vigorosa direzione, seguita perfettamente dall’Orchestra del Maggio Musicale Fiorentino per un’esecuzione emozionante, attenta ad ogni più piccolo particolare dinamico ed espressivo, dai colori cupi ai grotteschi delle streghe, fino ai pianissimi perfetti nella secca acustica del Teatro.
Grande ovazione del pubblico per un’opera vero evento del Festival, richiamo sulla qualità di un grande Maggio che dovrebbe meritare altro piuttosto che la liquidazione.