
[rating=2] Inaugura la 94^ stagione del Festival d’opera dell’Arena di Verona la Carmen di Bizet nella storica messinscena di Franco Zeffirelli.
Il programma in cartellone per questa stagione non vedrà nuove produzioni né nuovi titoli: il riassetto e il commissariamento della Fondazione Arena di Verona hanno imposto infatti il recupero di vecchi allestimenti pur di garantire la prosecuzione stessa degli spettacoli, che rischiava addirittura una storica interruzione a causa dei debiti e delle perdite di bilancio. Fortunatamente una simile sciagura sembra essere superata dai fatti e con la Carmen di Georges Bizet si è aperta anche quest’anno l’estate lirica veronese.
Opera che si presta all’allestimento areniano per la presenza costante di scene di massa e l’ambientazione storico-popolare, Carmen è il secondo titolo più rappresentato in Arena, dopo l’immancabile Aida che compare ad ogni stagione.
Spettacoli di questo tipo, con regia e direzione appropriate, possono riempire fisicamente e musicalmente l’immenso spazio dell’anfiteatro veronese in cui si riversano, oltre a un piccolo nugolo di appassionati e intenditori, diverse migliaia di turisti e di curiosi: un palato naturalmente poco sofisticato, la cui attenzione e il cui piacere vanno catturati e conquistati con escamotage teatrali maestosi ed imponenti.
Il fascino innegabile del contesto architettonico, infatti, deve fare i conti con un’acustica molto dipendente dalle condizioni dell’aria (umidità, vento…) e, soprattutto, con un enorme palco, inimmaginabile per qualsiasi compositore d’opera prima del 1913 (anno d’inaugurazione del festival areniano) e pienamente e perfettamente visibile da qualsiasi punto dell’ala e della cavea.
La regia di Zeffirelli fa i conti con questi dati d’evidenza e addensa sulla scena una moltitudine di figuranti, ballerini e persino di cavalli. L’allestimento è, a dire la verità, ormai datato e superato dal tempo, con elementi di gusto decisamente kitsch come le paratie anteriori di veli consunti che chiudono la scena ad ogni intervallo e quelle posteriori sulle quali campeggiano immagini di volta in volta correlate alla trama dell’atto in corso (locandine di corride, disegni di montagne, ecc).
Pochi ma ben congeniati gli elementi di scena, realistici e cinematografici, che di quadro in quadro (così sono definiti gli atti nel libretto della Carmen) poggiano su un basamento rialzato che simula un chiaro terreno sabbioso, solleticando la fantasia collettiva legata alla penisola iberica. Ai lati della scena due grandi impalcature sorreggono la ricostruzione scenografica di abitazioni in stile mediterraneo dalle cui finestre sporgono o si intravedono delle comparse.
Un poco confusionaria e inefficace la gestione delle masse e le entrate e uscite dei personaggi: il più delle volte, soprattutto a inizio e fine spettacolo, la sensazione dominante è di confusione e disordine. Molte sono le piccole azioni mimate a latere della trama e ai margini del fuoco dell’azione e questo novero di movimenti e gesti distrae dal centro narrativo che, peraltro, non è posto sempre nella stessa porzione di scena. Alle volte, nel marasma generale, per individuare i protagonisti occorre un eccessivo sforzo di ricerca snervante.
I costumi di Anna Anni evocano l’Andalusia dell’ottocento con intento evocativo e realistico insieme, suscitando l’approvazione soddisfatta del pubblico che si trova così immerso appieno nel turbine delle vicende.
Sulla scena si esibiscono quasi senza sosta i ballerini del Corpo di Ballo dell’Arena di Verona in semplici e banali coreografie di El Camborio, riprese da Lucia Real, che riempiono gli spazi con movenze e danze intuitivamente ed esplicitamente riconducibili all’immaginario spagnoleggiante.
Del tutto deludente la direzione del maestro Julian Kovatchev e la prestazione dell’orchestra areniana. Conduzione inesistente delle dinamiche, esuberanza ingiustificata degli ottoni, archi perennemente sottotono, assoli strumentali traballanti, incertezza negli attacchi e nelle chiusure e una generale assenza di mordente e di convinzione. Esibizione sorprendentemente negativa, forse figlia delle incertezze economiche e organizzative che hanno tenuto in sospeso la stagione dell’Arena fino all’ultimo momento. In ogni caso ingiustificabile e imperdonabile, nonostante il visibilio di buona parte del pubblico che si è addirittura trascinato in un applauso a tempo di marcia sulle note della famosa aria del toreador.
Poco esaltanti anche i cantanti, ad eccezione del Coro e delle voci bianche ottimamente preparati e diretti rispettivamente dai maestri Vito Lombardi e Paolo Faciniani.
Nella recita del 9 luglio Carmen, la libera ed emancipata zingara di Siviglia, è stata l’omonima Carmen Topciu, mezzosoprano. Timbro fin troppo scuro e pastoso, ben voluminoso e potente, di buone movenze teatrali come sono richieste dal ruolo di femme fatale, non è riuscita a convincere a causa di un’espressività stentata e sbiadita, poco avvincente nonostante le grandi potenzialità vocali.
Ancora più discutibile il Don José di Jorge de Leòn, tenore, che ci è sembrato alquanto fuori forma. Potenza vocale altalenante e tecnica a tratti incerta, per niente focalizzato sul personaggio e debole nell’interpretazione. Poco o niente si è assaggiato del travaglio interiore del personaggio, sbandato tra gli obblighi della vita militare, civile e morale e i tormenti di un amore sacrilego e scostumato che lo tracina nell’illegalità fino al femminicidio.
Molto meglio i due contraltari della coppia protagonista, vale a dire la giovane Micaela e il torero Escamillo. Micaela, promessa sposa di José, è stata Irina Longiu, soprano delicatissima e squillante, di una sonorità aggraziatissima, azzeccata nella parte. Escamillo è stato il baritono Dalibor Jenis, di buona voce e tecnica, fornendo una dignitosissima prova delle proprie potenzialità.
Molto bravo il tenente Zuniga del basso Gianluca Breda, potente ed espressivo, a suo agio nella parte dell’ufficiale arrogante e sprezzante.
Sottotono le due coppie di zingarelle e di briganti amici di Carmen. Le gitane Frasquita e Mercedès, Madina Karbeli e Alice Marini, che dovrebbero emergere nel terzetto delle carte del terzo atto non hanno affatto lasciato il segno e, anzi, sono passate del tutto inosservate. Ugualmente senza spessore l’esibizione di Gianfranco Montresor e Paolo Antognetti, i due contrabbandieri Dancairo e Remendado, che dovrebbero animare il secondo e terzo atto ma che, al contrario, non sono risultati per niente incisivi nonostante i diversi scambi e interventi.
Attimi di viva apprensione quando un cavallo, nella parata di toreri del secondo atto, si è imbizzarrito rischiando di travolgere la buca d’orchestra, senza però che il direttore interrompesse la musica. Fiato sospeso nel pubblico e ottima maestria del cavaliere che ha ricondotto l’animale sui suoi passi.
Il Festival dell’Arena, del resto, è anche questo, il fascino dello spettacolo a tutto tondo in una cornice che più italiana non si può. La platea e gli spalti, gremiti di turisti di ogni parte del mondo, hanno dimostrato sincero apprezzamento della lunga e suggestiva serata con un calorosissimo e sonoro applauso.