
Dopo parecchio tempo all’interno della stagione del Teatro Sociale di Castiglione delle Stiviere, in provincia di Mantova, fa la sua comparsa un titolo d’opera che sicuramente ha destato l’attenzione di parecchie persone: Il Barbiere di Siviglia di Gioachino Rossini. Attratto dalla curiosità di questa proposta ho voluto prendervi parte.
Recensire uno spettacolo di provincia, di piccola provincia in questo caso, non è cosa semplice: sarebbe troppo facile sparare a zero denunciando la mediocrità dell’iniziativa. La situazione in sé richiede un po’ di equilibrio nelle valutazioni, dal momento che a essere sotto critica non è un gruppo di artisti affermati ed in carriera ma comprende una schiera di giovani speranzosi, per lo più studenti, accompagnati da qualche professore e qualche professionista.
Tuttavia, spettacoli come questo mi lasciano la mente piena di interrogativi e a volte proprio non ne colgo l’opportunità né il valore. Mi spiego meglio: l’opera allestita è presentata come parte di una stagione teatrale di livello, il cui palinsesto annovera artisti di calibro. L’evento è patrocinato dall’Assessorato alla Cultura della stessa Città di Castiglione, con la collaborazione del conservatorio “Pollini” di Padova, la partecipazione del coro del Teatro lirico di Bergamo e con il cast formato per l’occasione da “Primo applauso”: laboratorio di “alto perfezionamento per giovani artisti” (cito il programma di sala) de “La Bottega della Lirica” di Soiano del Lago (BS). Con queste premesse, si arriva a teatro con l’idea di sentire giovani cantanti e professori d’orchestra acerbi e non ancora completamente formati e con tanta voglia di porsi a serio cimento e far fruttare così l’alto perfezionamento ricevuto in laboratorio. Entro così a teatro, un gioiello di architettura e acustica, mi siedo nel palco (€ 25 n.d.r.) e le luci del piccolissimo golfo mistico illuminano appena la struttura del proscenio ed il sipario chiuso. In sala è buio e l’emozione è palpabile come in ogni teatro al mondo giusto quell’attimo prima dell’inizio. Sono pronto a cercare ciò che di meglio si può trovare in voci giovani e fresche. Poi il sipario si apre e mi chiedo molte cose: “Perché un titolo tanto insidioso?”, “Perché voci così immature?”, “Dov’è l’approfondimento belcantistico… e quello teatrale?”, “È una prova aperta o il culmine di un percorso formativo di alto livello?”. Sono a teatro con l’idea di sentire professionisti in erba e invece questo sembra: personaggi allo sbaraglio che come in una corrida di piazza sgomitano per vincere.
La responsabilità però, di tutto il dilettantismo, la provincia e il “luogo comune” messo in scena l’altra sera al Teatro Sociale non è da imputarsi né al cast né alle maestranze che, davvero e con encomio, hanno messo in gioco tutto se stessi e talvolta con risultati interessanti. La responsabilità, dicevo, di tutto questo è di chi si gloria di ‘perfezionare altamente’ dei giovani artisti per buttarli in scena alla prima occasione quando questi, non solo non sono minimamente pronti ad affrontare un’aria con “da capo”, figuriamoci un intero ruolo. Non è così che si fa o meglio, adesso non si fa più così. Scuole e corsi di alto perfezionamento ce ne sono, non funzionano così e ottengono ben altri risultati.
Detto questo bando alle polemiche e torniamo allo spettacolo visto che di cronaca si tratta, cronaca sia. E dal momento che senza critica non si cresce, voglio soffermarmi solo su ciò che può essere costruttivo.
I ventiquattro elementi dell’Orchestra Garda Sinfonietta sono stati sicuramente una bella sorpresa: attaccano l’ouverture sotto la guida del Maestro Anna Brandolini (in carriera dal ’78 come concertista) e il suono è ricco, rotondo e di buon impasto; i tempi sono dinamici, belli i colori ricercati e ottima l’intonazione. Tutto questo a sipario chiuso, dopo di ché, la scollatura tra golfo e scena è sempre tanta, specie negli “insieme” di cui l’insidiosissima partitura è ricca. Già nella prima scena con coro e soli, “mille grazie… mio signore…”, la direzione fa naufragio.
Anche la regia di Roberta Faroldi ha rappresentato un punto molto interessante. Un gioco di cornici vuote poneva personaggi e pubblico in una dialettica diretta: “Chi è il vero personaggio? Come vuoi che sia il personaggio? Non è che per caso sia tu il vero personaggio?”. Un continuo entrare e uscire da questo gioco di quadri e specchi stava a sottolineare il non voler schematizzare, immobilizzare in un unico ristretto perimetro, l’idea di personaggio spingendolo lontano dallo stereotipo. Tutti gli artisti erano carichi di grande carisma teatrale che, a volte giovava agli intenti della regista, più spesso però qualcuno si lasciava andare a qualche esuberanza e ci portava fuori, nel già visto. Grazie a qualche bella trovata originale e teatrale il racconto però divertiva e coinvolgeva: esilarante la sculacciata di Don Bartolo a Rosina durante la sua aria. L’impianto visivo è essenziale e di buon gusto con di elementi scenici utili alla regia.
Tuttavia se ottima deve essere stata la comunicazione tra regista e scenografo Sara Olocco, è andata meno bene con la costumista e sarta Debora Girelli. I costumi, pur belli e ben fatti, ricalcavano infatti i soliti cliché non completando visivamente il taglio registico.
Sulla parte vocale molte ombre e qualche luce. Su tutti emerge il tenore Paolo Antognetti. Superati gli imbarazzi iniziali della serenata, “Ecco ridente in cielo” e quelli dovuti al naufragio di cui è vittima poco dopo, le cose migliorano notevolmente. La voce riempie la sala del teatro galleggiando sull’aria, ricca di colori, mai stinta o sbiancata, l’emissione è appassionata ed elegante. La parte virtuosistica che il ruolo impone merita sicuramente un maggiore approfondimento, ma la prova del giovane tenore resta veramente ragguardevole e fa promettere una buona continuazione di carriera per altro già notevole.
Di un gradino sotto il baritono Ingegnere Carlo Checchi. Il timbro schiettamente baritonale e il talento teatrale innato lo portano a creare un personaggio vivo e piacevole. Lo studio porterà maggior sicurezza negli acuti e nei passaggi virtuosistici e migliorerà sicuramente l’appoggio sul fiato specie nei difficilissimi passaggi di sillabato rendendoli più timbrati ed articolati. Buona l’intonazione e ottima la tenuta musicale, cosa quanto mai importante nel contesto in cui si è mosso.
Il ruolo tanto temuto e ambito al tempo stesso di Rosina è affidato al soprano Federica Cervasio. Violinista diplomata al conservatorio di Milano e attrice da tenera età, da qualche anno si presta al canto lirico; disciplina per la quale sta conseguendo la laurea presso il conservatorio di Bergamo. Sicuramente non ha paura di stare in scena ma il canto rossiniano è altra cosa, e un personaggio così fitto di insidie come Rosina, al punto da dare del filo da torcere persino a Maria Callas, un altro pianeta addirittura. La voce è divisa completamente tra registro grave e acuto accusando una grave disomogeneità. Se nell’acuto, infatti, risulta sonora e ampia, di colpo, sotto il passaggio di registro essa si stimbra diventando ben poco gradevole e udibile e affondando in un registro di petto gutturale. Anche la coloratura risulta macchinosa e spoggiata, quanto agli acuti sono spesso duri e di forza. Tutto questo fa pensare a molto lavoro da fare ancora sulla respirazione. Non convince l’interpretazione scenica poi: il personaggio non è risolto nella sua complessità e resta come una sorta di surrogato di tutto ciò che un soprano dovrebbe fare interpretando Rosina. Alla fine non si parteggia per lei semmai per Bartolo.
Dei due bassi, Davide Franceschini nel ruolo di Don Bartolo convince il pubblico e la vis comica non gli manca. Forse di tutto il cast, è l’unico che segue l’intento della regia di sottrarre il personaggio dalla sua “cornice” connotandolo di aspetti positivi al punto da renderlo simpatico senza scadere nella macchietta. Luca Gallo risolve il ruolo di un anonimo Don Basilio dal timbro grigio e privo di autentica malvagità.
Cristina Santi fa da spalla a Rosina con una Berta dall’emissione piuttosto fissa ed è un vero peccato vista la deliziosa aria di sorbetto che il ruolo le riserva. Completano il cast Andrea Righetti un tenore nei panni di Fiorello, quindi un tenore molto a disagio in un ruolo scritto per baritono e Luca Ottolini, ufficiale.
Alla fine, applausi per tutti, e un pubblico divertito e caloroso regala un “primo applauso” ai giovani artisti.