
Tutto bianco e una miniatura di Basilica sulla scena; le panche dei fedeli e siamo in Sant’Andrea della Valle. Angelotti, bonapartista è evaso dalla prigione di Castel Sant’Angelo e si è rifugiato qui. L’amico e cavaliere Mario Cavaradossi, più Pinkerton che pittore, in blazer blu e pantaloni bianchi, è ivi, alle prese con il ritratto della marchesa Attavanti, lo spalleggia e insieme preparano la fuga. All’arrivo dell’amante Floria Tosca lo protegge; una cappella gli fa da nascondiglio. In bianco lei, la potente voce di Tatiana Serjan, un abitino con scarpette e scialle rosso, molto “Grease” intreccia giochi amorosi e cavatine di gelosie con il suo bello, in stile più fine anni ’70 che ‘800. All’arrivo del Barone Scarpia che è in cerca dell’evaso la scena si riempie di cardinali, coristi chierichetti ragazzini e un alto prelato.
Un grande Donato Renzetti accompagna la scena con le melodie pucciniane a lui da sempre congeniali. Costanza e fedeltà di interpretazione, i suoi punti di forza, anche questa volta. La tavola c’è poca imbandita, ma c’è ed anche la scrivania, ma se il barone Scarpia eccelso padrone di palco Roberto Frontali è un gerarca fascista, e le vesti lo palesano, la freddezza trapela in tutto il secondo atto che per sua caratteristica storica è passione gelosia e ardore. Tosca ancora in bianco ma con bustino e gonna a strutture e cappa-spolverino-mantello rosa, il costume non è stile impero, ma più contestualizzato al periodo della vicenda, brava, regge la scena ma al ricatto del padrone di palazzo Farnese che ha sotto tortura il suo amante Mario non cede se non con un tranello al ricatto di una notte di amore contro la rivelazione del nascondiglio dell’Angelotti.
Il coltello della tavola conficcato in seno al barone è la chiusura della scena se non dopo aver estorto, dalle sue parole, una fucilazione a salve per il suo amante “Come avvenne del Palmieri!”, procace ed avvenente lei nel suo “Vissi d’arte, vissi d’amore…”.
E siamo al patibolo del terzo atto: caftano nero e pasmina banca al collo, per la protagonista, in una sequenze di scene e armonie che mostrano e fanno apprezzare la valenza del tenore Giorgio Berrugi e del suo Cavaradossi. La vera morte del pittore, piuttosto in vesti da marinaio, sulle note di “..l’ora è fuggita…e muoio disperato!” creano l’epilogo del dramma amoroso di Puccini.
E’ l’opera romana per antonomasia. Si squarcia la cupola della basilica e la nostra Tosca ci si butta e precipita. Qualcuno del pubblico ha chiesto: “Ma Castel Sant’Angelo?!” Peccato i costumi, le scene fredde e una regia un po’ troppo didascalica comunque di Pier Luigi Pizzi, ma gli applausi per i cantanti non mancano l’obbiettivo musicale, forse un po’ troppo commerciale perseguito. Davvero bravi gli interpreti canori, avvincente davvero per una serata all’insegna della musica di qualità. Tanto pubblico anche straniero e un clima piacevole hanno fatto atmosfera a un favoloso Puccini senza tempo.