
Nel periodo architettonico neoclassico esiste una figura di grande importanza che, con la sua attività architettonica, conta poche opere realizzate, ma è stato determinante per le successive generazioni: Étienne Louis Boullée.
La grandiosità di scala e la passione per la geometria formale sviluppano opere con edifici giganteschi, in realtà i progetti sebbene fossero finalizzati a costruzioni concrete, non sono assolutamente realistici.
L’effetto funzionale dettato dall’uso, a cui erano destinati è molto difficile individuarlo senza considerare i vincoli imposti dal sito.
Ll’architetto parigino era in primis interessato agli effetti che l’architettura era in grado di esercitare sull’osservatore: uno di tali effetti che si poteva creare in un edificio era l’ombra.
Difatti affermava nel suo trattato “Architecture.Essai sur l’art“, rimasto inedito fino al 1953, che lui stesso era l‘inventore dell’architettura d’ombra.
Approfondendo la sua figura possiamo considerare che attraverso i suoi progetti il linguaggio architettonico classico ha subito una svolta sia nell’organizzazione generale sia a livello dell’apparato plastico. In genere queste modificazioni sono pensate per rendere più suggestivo l’effetto generale del progetto, innovando nelle proporzioni, nelle simmetrie che rimangono delle regole inviolabili. La ripetizione degli elementi che posti su più file parallele, si rinnovano completamente fino a perdersi in una moltitudine impossibile da verificare numericamente, come anche l’utilizzo misterioso della luce per sottolineare il carattere sacro degli edifici.
La modernità che possiamo notare dalla sua architettura è l’articolazione delle forme geometriche con un ridotto apparato decorativo, le forme pure sono fortemente espressive nonostante l’elementarità astratta e geometrica. Etienne-Louis Boullée utilizzava in particolar modo forme geometriche pure e chiaramente leggibili come il cubo, il parallelepipedo, la piramide e la sfera. La forza espressiva delle forme geometriche in realtà è determinata dalla loro semplicità, regolarità e reiterazione.
Per Boullèe la sfera era ritenuta la massima espressione delle forme regolari che creavano delle interazionicon la luce e delle sfumature determinando una plasticità compositiva con le ombre. La perfezione della sfera come immagine assoluta, ovvero la geometria esatta, la regolarità più perfetta, la sua figura è disegnata dal più piacevole dei contorni, è il corpo favorito agli effetti della luce, che sono tali da rendere impossibile che la sua gradazione sia più dolce, più piacevole e più varia.
Secondo voi per quale motivo vi sto parlando di un architetto come Boullèe?
Quale motivo porta a capire che architetti come Boullèe siano stati precursori di un’architettura fuori dal tempo ovvero visionaria? Ebbene vi devo dire che in questi giorni mi ha fatto ricordare questo grande architetto nel vivere l’emozione degli spazi e delle forme creando delle sensazioni uniche per lo spettatore Tomas Saraceno in un luogo unico: in piazza del K21 Standehaus di Dusseldorf dal 22 giugno fino all’autunno 2014 (data da destinarsi) è in mostra la monumentale, per dimensioni e forme, “in ORBIT”, l’installazione dell’artista argentino architetto prestato all’arte.
L’installazione si potrae per tutta la superficie della cupola di vetro del museo sospesa a 25 m d’altezza, sulla quale ci sono un’enorme quantità di sfere in PVC di almeno 8,5 di diametro. Si tratta di un’opera interattiva, infatti i visitatori possono accedervi e passeggiare in queste sfere trasparenti, e per i più coraggiosi cìè la possibilità di arrampicarsi.
Un’esperienza artistica progettata in circa tre anni con la collaborazione di ingegneri e architetti per creare una serie di realtà sospese nel vuoto. Un’opera tra visione e realtà, arte ed ingegneria, cielo e terra.
I progetti di Saraceno in una visione quasi parallela con Boullèe potrebbero essere molto vicini ora ai futuri bisogni dell’umanità ovvero l’artista argentino rispetto a tante altre soluzioni economiche per tamponare la crisi agisce riscoprendo una nuova forma di sostenibilità sociale, attraverso una citazione di Fritjof Capra dal suo libro “La rete della vita“, «è interessante notare il nesso sorprendente fra i cambiamenti di pensiero e di valori. Entrambi possono essere visti come spostamenti dall’affermazione di sè, o autoasserzione, all’integrazione. Queste due tendenze, autoassertiva e integrativa, sono entrambe caratteristiche essenziali dei sistemi viventi. Nessuna delle due è intrinsecamente buona o cattiva. Ciò che è buono, o sano, è sano, è un equilibrio dinamico, ciò che è cattivo, o non sano, è una mancanza di equilibrio, che consiste nel dare un’importanza esagerata a una delle due tendenze e trascurare l’altra».
Nel suo modo di concepire il limite l’architetto-artista Tomas Saraceno è quello di sfidare ed arrivare a concepire un qualcosa che viene attivato dalla partecipazione del pubblico, ciò che abbiamo descritto come non realtà diventa organismo vivente, che respira grazie ai movimenti di chi la attraversa, rendendo visibili le infinite relazioni che ci legano allo spazio, che si modificano attraverso il clima e più semplicemente dai movimenti delle persone. Ogni passo, ogni respiro evolve lo spazio, crea una metafora, ovvero le nostre interrelazioni con l’opera condizionano noi stessi.
Vorrei concludere rimbalzando nel tempo tra l’architettutra di Boullèe e le opere architettoniche di Tomas Saraceno dicendovi che è fondamentale fare una distinzione tra architettura e tecnica di costruzione: la vera architettura nasce dall’ispirazione, mentre la costruzione non è che un procedimento tecnico.