
Tutto ebbe inizio a San Francisco nel 2015. Un anno particolarmente sanguinoso in termini di episodi di violenza all’interno della comunità Lgbtq+, ma anche segnato da un numero piuttosto alto di suicidi, legati in qualche modo alla messa in discussione del proprio orientamento sessuale e/o identità di genere. Numero che peraltro continua a mantenersi piuttosto alto a livello internazionale e che è sempre la diretta conseguenza di episodi di trans/omofobia e bullismo. L’America è stato da sempre un paese spaccato in due sulla questione, fra pochi sparsi centri di cultura e sviluppo e la grande grandissima provincia, sovente affogata in un’ignoranza profonda e pericolosa. L’Italia d’altro canto non è stata da meno in termini di episodi di violenza o rifiuto nei confronti del mondo Lgbtq+, con l’aggiunta di tutto uno strascico di dogmatismo cattolico che diciamo almeno, senza voler offendere nessuno, non ha portato acqua al mulino dell’inclusività gender.
Nel 2015 nasce così il progetto Drag Queen Story Hour, voluto dall’attivista Michelle Tea, progetto che sostanzialmente portava le Drag Queen nei luoghi di cultura: biblioteche, teatri, scuole, librerie, musei all’interno dei quali avrebbero trovato ospitalità delle splendide e coloratissime Drag Queen nelle vesti di lettrici di libri per l’infanzia. L’idea era soprattutto quella di creare uno spazio di creatività e dialogo, ma soprattutto di inclusione a misura di bambino. Anzi di più, un luogo dove imparare la gentilezza e il rispetto verso la diversità: in due parole “be kind”. Panico. La cosa scatena, manco a dirlo, un’ondata di furibonde polemiche, specie da parte dei conservatori, che denunciano la pericolosità dell’iniziativa, volta, secondo loro, a produrre confusione nell’identità di genere dei bambini.
Da lì in poi in buona sintesi la polemica non s’è mai placata, ma Drag Story Hour è andato avanti senza produrre, a quanto risulta, nessun fenomeno di incertezza, ma piuttosto creando solo gioia e condivisione. In Italia arriva più o meno nel 2017 e anche qui un polverone. Nella fretta di giudizio dell’altrui esperienze, resta da chiedersi come mai non basti, a chi pensa che questo tipo di attività non siano adatte ai più piccoli, semplicemente disertarle. Perché serve anche insistere sul fatto che TUTTI non ne giovino? Mistero.
A Roma proprio in questi giorni anche la Drag Queen Cristina Prenestina è stata coinvolta suo malgrado in un episodio che in un certo senso s’inserisce entro questa scia. Cristina, alias Francesco Pierri, è la firma dietro il testo per bambini “Nino il T-Rex“, recentemente portato in scena dalla compagnia Giù di Su per Giù teatro, impegnata da un decennio nella divulgazione di opere teatrali per l’infanzia, grazie soprattutto al suo fondatore, lo scrittore e attore Giorgio Volpe.

Il libro edito da Settenove e splendidamente illustrato da Dunja Jogan, racconta di un mondo fantastico e mai termine fu più azzeccato, dove esseri umani, animali e dinosauri vivono in armonia. Nino però, un tirannosauro-bullo passa invece, come un Grinch della foresta, a spaventare chiunque gli capiti a tiro. Tutti lo temono, ma un bambino scopre il motivo di tanta “cattiveria”: Nino non ha mai ricevuto un abbraccio, il bambino decide allora di regalargliene uno. Una storia semplice e tenera che vuole ricordare tanto a bambini quanto e forse soprattutto anche agli adulti il potere della gentilezza.
Fin qui tutto bellissimo e ovvio, ma forse non così ovvio, lontano da qualsiasi argomento che possa ledere in alcun modo la sensibilità infantile. Peccato però che poco prima del debutto dello spettacolo tratto dal racconto, un’associazione che ha fatto dell’eterosessismo il suo vessillo (ProVita e Famiglia), decide di pubblicare un articolo, peraltro molto poco accurato in fatto di informazioni (verifica delle fonti questa sconosciuta), in cui in buona sostanza etichetta lo spettacolo come diseducativo.
Il teatro ospitante (Le Maschere) in merito alla presenza in un cameo dell’autore del testo Francesco Pierri, nelle vesti drag di Cristina Prenestina fa marcia indietro, sostenendo più o meno legittimamente che la cosa non era stata preventivamente dichiarata per iscritto dal regista. Volpe dal canto suo fa sapere dai social di compagnia, che peraltro non beneficia di nessun contributo pubblico (come invece riportato malamente nell’articolo), di non averlo effettivamente fatto sapere in forma scritta, ma di averlo esplicitato in più occasioni anche nell’ambito della promozione dello spettacolo. D’altro canto Cristina Prenestina era stata già presente in altre occasioni sia come ospite della pièce che per il firmacopie ed evidentemente era sembrato superfluo tornare sul punto.
Non è stato così e dunque lo spettacolo si è svolto senza la presenza della drag queen, che fra l’altro era già stata oggetto di interesse di diversi altri articoli di ProVita, in cui si biasimava l’opportunità di vederla nelle vesti di lettrice di testi per bambini perché, a detta dell’associazione, la cosa produrrebbe “un indottrinamento all’ideologia gender”. Fermo restando che né “Nino il T-Rex” né in nessuno degli eventi dedicati all’infanzia in cui siano intervenute drag queen, sono mai stati toccate tematiche pertinenti la sessualità adulta, resta da chiedersi ancora una volta se davvero non sia ancora e sempre la paura dell’altro invece che il senso di comunità inclusiva a farla da padrone.
Molti genitori e insegnanti che hanno assistito allo spettacolo con i propri figli/alunni hanno voluto dimostrare solidarietà alla compagnia e all’autore con diversi messaggi d’affetto, sulla vicenda è intervenuto anche L’Espresso, rimane però ancora un po’ d’amarezza. Non molto tempo fa il consigliere leghista Manfrin si era espresso negativamente sulla presenza di Cristina Prenestina ad Aosta per un laboratorio di lettura dedicato ai più piccoli, in quell’occasione aveva dichiarato che la presenza di una drag avrebbe suscitato nei bambini delle domande.
Scevri allora da facili strumentalizzazioni, stereotipie distorsive e prese di posizioni ideologiche, che non farebbero altro che produrre ulteriore e inutile distanza, forse non resta che focalizzarci su questo preciso passaggio. Milan Kundera diceva che la saggezza deriva dall’avere, per ogni cosa, una domanda. Non è esattamente questo che dovremmo auspicare per la crescita e la formazione delle nuove generazioni? Domandiamocelo…