Per il giudice Francione è “La Repubblica delle Marionette”

Un lavoro di denuncia civile del drammaturgo partenopeo, andato in scena al Teatro dei Conciatori di Roma

Teatro come “resistenza”, a cosa? A chi nascostamente muove i fili di una società che riduce l’uomo ad un soggetto da mungere, da denudare, privare di ogni bene fino ad annientarlo, togliendogli la dignità, considerandolo una “marionetta”. Una guerra silenziosa ma vera, che si consuma a colpi di grasse risate da chi ha creato il “sistema” (“ce l’abbiamo fatta!”) ed il pianto di chi lo subisce. La pièce del giudice Gennaro Francione non lascia equivoci alla interpretazione. Ti fa accomodare in sala e, tra belle musiche, qualche coro e battute sarcastiche, ritornelli che sono pugnalate di cronaca nera, ti serve sul piatto dell’amara verità, il “nudo” vivere. E’ la storia di ogni giorno, delle cronache, dei suicidi, rielaborata, però… in “messaggio artistico”. Stavolta non è recitazione, o forse, non solo. Le “marionette” di Francione si muovono in scena per indignarti, farti domandare: “Ma per quanto ancora potremo tirare avanti così?”. Il lavoro portato al Teatro dei Conciatori di Roma, dal 14 al 18 dicembre scorso non è per tutti, è per chi ha ancora un cuore pulsante di giustizia. Per chi non ne può più di grandi della finanza e “bancarottieri”, per chi non sopporta che, se sei “ricco” la legge è interpretata nel linguaggio “estensivo” mentre se sei poveraccio te la becchi “restrittiva”.

“La Repubblica delle Marionette” ha avuto la regia di Stefano Maria Palmitessa su testo di Gennaro Francione, l’adattamento è stato di Francesca e Natale Barreca.

Il cast scenico: Agnese Torre, Alessandro Laureti, Erika Diamanti, Giuseppina Anghelone, Mary Fotia e Sabrina Meuti. Costumi: Mary Fotia, le belle musiche di Silverio Scramoncin, coreografia: Mara Palmitessa, assistente alla regia Maria Giulia Messina.

Sul palco attori distintisi bene in scena, per dizione, mimica, un gruppo affiatato, amalgamato da entusiasmo e passione. Su tutte Sabrina Meuti, attrice dalla simpatia che esce dagli argini del personaggio. Già “ammirata” dal 7 al 10 luglio scorso in una originalissima “Agrado” in “Tutto su Mia Madre” portata al Teatro Petrolini della capitale dal regista Francesco Proietti. Tenera e dolce Meuti ha una voce plastilina, adeguandosi a ruoli ora drammatici come a comici o d’autore. Qui, insieme ai colleghi, sembra far ridere, ma il ruolo è struggente.

Un lavoro impegnativo per il cast, se si pensa che, oltre all’impegno del testo, vi è stato pure quello per il trucco delle “marionette”, eseguito dai professionisti dell’Accademia professionale del trucco di Roma ed ha richiesto, ogni sera, circa un’ora e mezza di preparazione. Un capolavoro ad effetto, che trasformava il viso dell’attore in una stupefacente maschera.

Il lavoro si spezza in due, una prima parte di respiro pubblico, una introduzione al mondo surreale di oggi, nei vizi e dolori, la seconda con un tal Pulceq. Il tipo-uomo del terzo millennio, ha un lavoro e di colpo lo perde, ha una casa e viene lo Stato e se la prende, ha una moglie, ma è stanca delle miserie e lo pianta, è quel sentimento che Bauman definirebbe “liquido” gli scorre inesorabilmente addosso, poi ci sono i debiti, “come farò?”

L’uomo nella sua solitudine provocata da un mondo economicamente di sopraffazione. E, come una cantilena lo stesso messaggio viene ripetuto talvolta a gogò dai protagonisti, prima in solitario poi a gruppo o viceversa. Come a farlo arrivare bene fin nelle viscere umanitarie di chi guarda lo spettacolo. Nella “Repubblica delle Marionette” il protagonista è il messaggio civile, che arriva come un grido, per svegliare le coscienze. Ad effetto, anche qualche scena “calda” il seno scoperto di due interpreti per trasmettere il messaggio che lo Stato ti succhia quello che hai. Latte come linfa femminile, vitalità svuotata di dentro, una vita che appassisce sotto i problemi, vita che ti toglie la macchina burocratica.

Il drammaturgo napoletano Gennaro Francione tocca le corde sociali in modo forte. Un visionario del teatro d’avanguardia, uno che vuole cambiare il mondo attraverso la bellezza artistica e, di fatto, ricorda all’ultima replica Fëdor Dostoevskij col suo motto: “La bellezza salverà il mondo!”.

Un “teatro” un po’ Ionesco, un po’ Pinter un po’ Ovadia e quella che fu la Theatre Orchestra, in totale un giudice che oltre alle sentenze ed alle carte fa parlare artisti talentuosi per “ribaltare” le sorti di un mondo che ha preso da tempo una gran brutta piega. E, per il 2017, esprime un desiderio sul suo profilo “social” (Fb): “riprendere alla grande nel nuovo anno la nostra Rivoluzione di Bellezza attraverso il Teatro, l’Arte e il Settimo Potere per la costruzione dello Stato Est-Etico!”. Auguri giudice!