
Ultimo quarto d’estate e finalmente tornano a fioccare contest, festival, premi vari in ambito teatrale e non solo. Dopo la dura battuta d’arresto del Covid, che ha rallentato se non addirittuta stoppato molte delle competizioni riservate alla creatività, riprendono un po’ tutte o quasi. La lunga stasi tuttavia ha offerto se non altro la possibilità di rimettersi in gioco, sì perchè dati alla mano, moltissimi gli italiani che hanno letteralmente “mollato” un lavoro per un altro completamente diverso, o che hanno stravolto la propria prospettiva futura.
I numeri delle partecipazione alle “gare” artistiche parlano chiaro: si ha voglia di rimettersi in gioco, di dire la propria. E’ nota dopotutto la nostra attitudine creativa, siamo o non siamo popolo di santi, poeti e naviganti? Tanto per parafrasare discorsi “passati” e “ripassati”, anche non degnamente. Ecco allora che dopo un’attenta analisi dei bandi che iniziano a proliferare in rete, rispunta tuttavia l’odiato limite anagrafico, che segna uno spartiacque definitivo al fatidico trentacinquesimo anno d’età, oltre il quale, pare, non sia più lecito osare una partecipazione.
Vero è che in diversi ambiti il limite è stato vivvadio debelleato, ma sopravvive soprattutto in quei contesti diciamo “di grido”, dove una vincita o una menzione potrebbero sicuramente fare la differenza, soprattutto per tornare al discorso di cui sopra, per avviare una tanto sospirata nuova carriera. Come mai? Abbiamo provato a interrogarci in merito a questo aspetto e provare magari, nella più felice delle ipotesi, a offrire qualche spunto riflessivo ai sempre oscuri “addetti ai lavori”.
I migliori premi italiani in fatto di “esordi” teatrali e cinematografici, così come alcune fra le più rinomate e diciamo prestigiose scuole di ambito creativo, mantengono questo limite, per alcuni addirittura abbassato di cinque anni. Non è un paese per vecchi insomma.
Sopravvivono nevvero felici occasioni d’incontro artistico dedicate a giovani e giovanissimi che è sacrosanto mantenere, anche perchè giova ammetterlo, le nuove generazioni hanno dimostrato spesso di avere una marcia in più. Quello che invece non viene riconosciuto è il sacrificio dell’attesa e dello studio, dell’esperienza, della paziente opera di miglioramento del proprio profilo artistico.
Già perchè molti di quelli che oggi sono esclusi dalle competizioni soprattutto teatrali di un certo rilievo, i 35 li hanno passati, magari non ampiamente, ma li hanno superati. E perchè non hanno fatto qualcosa di rilevante prima? Si domanderanno magari i fautori del limite anagrafico, forse dimenticando un piccolo ma non irrilevante dettaglio: la “vita artistica” spesso non è fonte di guadagno, o non lo è abbastanza, motivo per cui molti bei talenti con idee e cose da dire, sono stati occupati per la maggior parte del tempo dei loro “anni migliori” a guadagnarsi da vivere. Senza contare che il più delle volte questi esclusi troppo vecchi per essere giovani e troppo giovani per essere vecchi, “qualcosa” hanno anche fatto, ma non sufficiente a “lanciarli” nel mondo artistico in modo appropriato e quasi mai per mancanza di genio.
Perchè beninteso qui non ci si riferisce ai perdigiorno, esistono anche quelli, ma questo pezzo non parla di loro.
L’osservazione non vuole essere giustificante, ma la narrativa del “se credi davvero in qualcosa lo otterrai” spesso non fa i conti, letteralmente, con la vita. C’è poi la questione dell’investire il poco tempo avanzato nella propria formazione, nel mettere da parte “sudati spicci” per potersi permettere un corso, un laboratorio, un incontro col drammaturgo/a o attore/ice di grido che giustamente non lavora gratis nemmeno lui/lei. Il tutto nel riuscire a migliorarsi e accumulare il più possibile quei famosi titoli che “fanno curriculum”.
Ecco che il tempo passa veloce e quando appena superata quella soglia inutilmente definitoria di partecipanti “accettabili”, si hanno finalmente mezzi, formazione ed esperienza, è troppo tardi. Ma tardi per cosa? Per avere un buon progetto? Per esordire? Osservando con un occhio appena un attimo più critico molti dei partecipanti under 35 di questi bandi, si noterà che una quota sostanziosissima di loro, esordiente non lo è affatto. Molti hanno già lavorato parecchio nell’ambito artistico, oppure addirittura provengono dai migliori palcoscenici italiani. Merito loro, certo, ma non sempre, si sa.
Si potrebbe ribattere che mettere nello stesso pentolone quarantenni e ventenni potrebbe risultare squilibrato, ma a ben vedere non è proprio così. Forse entrambe queste generazioni hanno ciascuna qualcosa da dire, ciò che rende l’una o l’altra vincente in un dato contest è semplicemente la qualità, ammesso beninteso che si sappia riconoscerla.
Ma ahinoi incombono solenni le categorie aristoteliche e allora ci chiediamo, perchè non introdurre in questi sì agognati premi, anche una sezione per chi fra i capelli vanta già qualche filo d’argento? Sarebbe davvero così inopportuna la presenza di un popolo di aspiranti artisti non più di “verde etate”? Di persone magari con un diverso percorso lavorativo alle spalle, ma che possiedono il talento per reinventarsi nel mondo teatrale o cinematografico, senza per questo dover risultare dei vecchi dilettanti?
A ben vedere dopotutto, specie per chi patrica festival off, che però sovente lo sono solo su carta, la quantità delle pièce davvero memorabili di questi under 35, scarseggia tristemente. Discorso estendibile anche alle “scuole”, quelle che offrono una formazione di un certo livello e quasi mai a cifre popolarmente abbordabili. Anche per loro vige il limite anagrafico, almeno in “quelle che contano”. Buffo se si pensa che magari si può arrivare proprio intorno ai 35 anni a una sorta di stabilità economica (quando va bene) e proprio allora ci si potrebbe concedere “il lusso” di una spesa extra per un percorso formativo prezzolato.
Ecco allora la proposta di revisione di queste categorie così quadrate, in un tempo invece fluido, per cui si è combattuto e si combatte ancora, dove l’essere umano non dovrebbe necessitare etichette. Se proprio non si possono incastrare ultratrentacinquenni nei premi più importanti, che si pensi a una sezione a loro dedicata, allora forse un’altra delle tanto amate massime da tavola come “la vita comincia dopo gli anta”, potrebbe finalmente trovare una felice applicazione nel mondo reale. No?