
La rassegna estiva ideata da Andrea Kaemmerle di Guascone Teatro fa centro con un comico e intenso ritratto di Modigliani, quello tratteggiato dall’attore Michele Crestacci con sfumature poetiche e paradossali, a volte calcando la mano con tinte fin troppo goliardiche. Siamo sulla riva di un lago nella frazione di Capannori (Lucca) e dopo la simpatica idea di un picnic sull’erba, con cestini forniti dall’organizzazione, va in scena Modigliani, per la regia di Alessandro Brucioni.
La scintilla di partenza è stimolante: esplorare la vita dell’artista livornese che ha segnato la pittura del Novecento, figura importante e controversa ma quasi dimenticata dalla città che gli ha donato i natali – la sfacciata, pigra, allegra Livorno. Ben altro destino meriterebbe l’opera dello scultore e pittore, e non solo qualche quadro appeso a sonnecchiare al Museo Fattori, come raccontato nello spettacolo in tonalità agrodolci e ricche di volute esagerazioni.
Così, dopo un prologo divertente sulla vita del bagnante contemporaneo, un po’ alla Fantozzi, e dopo una riflessione sulla facilità con cui chiunque potrebbe rubare uno dei primi ritratti dell’artista, fra i pochi a Livorno, che ritrae il fruttivendolo detto Solicchio, si entra nel vivo della storia, la nascita di Modigliani nel quartiere ebraico. Quel giorno la famiglia doveva essere sfrattata e un funzionario bussa alla porta mentre Eugenia sta per dare alla luce l’artista sublime che avrebbe toccato con mano le avanguardie, creando uno stile affusolato e sognante, quotatissimo e falsificato come pochi altri.
Quel giorno Modigliani, poi soprannominato Modì, nacque “sotto una cattiva stella”, si ripete più volte nel monologo, perseguitato in futuro da una salute cagionevole peggiorata da una breve esistenza fatta di eccessi nella Parigi dell’assenzio e della gioia di vivere. Bello il momento in cui si racconta il rapporto tra il piccolo Modì e il nonno, un uomo colto che gli fa conoscere il mare e Dante, il fascino della città e le lingue straniere, imprimendo nel bambino un’attrazione verso l’impalbabile e il visibile, la natura e la poesia. E così via fino alla scoperta del disegno, l’incontro con i Macchiaioli, gli eterni problemi economici della famiglia e la decisione di partire per Parigi, dove Modigliani si fonde con la metropoli e i personaggi che la abitano, dove conosce Picasso, matura, si innamora e si ammala. Perennemente squattrinato, torna a Livorno e plasma le sue famose sculture primitive – lasciandole poi in custodia a qualche amico – e attorno alle quali, molto tempo dopo, si sarebbe creato il fantastico scandalo che ha smosso l’opinione pubblica globale.
Ma Modì fa ritorno a Parigi, dove incontrerà la futura moglie e madre di sua figlia – un rapporto appassionato che finirà tragicamente con il suicidio di Jeanne dopo la scomparsa di Modigliani per tubercolosi, lasciando Giovanna ancora in fasce. Lei che continuerà a cercare il padre nei suoi studi e nelle sue ricerche di ragazza e adulta, e il cui progetto di aprire una Fondazione Modigliani proprio a Livorno non sarà mai realizzato, perché qualche giorno dopo il ritrovamento delle “false teste primitive”, la donna verrà trovata morta nel suo appartamento parigino.
La narrazione di Michele Crestacci è tenue e incisiva, semplice ed evocativa e fa davvero appassionare lo spettatore alla figura timida di Modì, con i suoi vizi e le sue virtù, le sue debolezze e la sua sensibilità. L’atmosfera è purtroppo rotta nel momento in cui l’attore si perde a parlare di Heidi e di come quel cartone animato gli abbia turbato l’infanzia, in un prolungamento eccessivo che toglie il senso di sospensione costruito fino a quel momento. Buoni gli inserti musicali che accompagnano le parole, per un risultato di pienezza nella sottrazione.