Play Plauto del Laboratorio della Toscana. Un anti-classico

Gli allievi del Laboratorio della Toscana diretto da Lombardi-Tiezzi si mettono in gioco con Play Plauto, tra parti ben riuscite, ed altre più stanche.

Play Plauto: accoppiamento, mortalità, lamento, frenesia. Anche questo è Plauto, riletto da Sandro Lombardi, Federico Tiezzi, con lo zampino di Roberto Latini – che c’è, si sente, si vede. Se nell’introduzione ci viene riferito che l’autore latino è stato affrontato soprattutto alla luce di ritmo e oscenità, tuttavia talvolta proprio ritmo e oscenità vengono a mancare – soprattutto il ritmo nella parte dedicata a Cleopatras, brano tratto dai Tre Lai di Giovanni Testori e inserito in maniera ardita nella drammaturgia di questa messinscena. Messinscena recitata nella lingua morta per eccellenza, il latino, qui resuscitata e resa quasi familiare, immanente, all’interno di uno spazio pressoché vuoto, solo un tavolo di legno al centro. Tavolo dove i personaggi o presunti tali della commedia prescelta, l’Anfitrione, siedono in silenzio, poi esplodono, fanno bisboccia e osservano cosa avviene nel proscenio – stanchi, sperduti, talvolta indemoniati.

La trama è diluita, anzi la sensazione è che non ci sia trama; si procede a intuito, a mosse, movenze, sguardi, sospensioni, riprese. Il parallelo tra le tute arancioni degli attori e la fonte classica è spinto, così come l’interessante, ripetuta pantomima esasperata e assordante. I momenti collettivi, dove gli interpreti si fanno scimmie, le divinità pezzi di carne, gli uomini divinità brutali, sono le più efficaci. Ribollono: come le assenze prolungate, il caos, le relazioni sociali che stanno strette, l’insensatezza, oggi come ai tempi di Plauto, come in un tritatutto alla Uomini e Donne di Maria De Filippi – format che doveva ripetersi simile, ma diverso, nel III secolo a.c.

Gli allievi del Laboratorio della Toscana alle prese con Play Plauto si sono dimostrati all’altezza della situazione, pur a tratti risultando ingabbiati in alcuni rigidi clichées, l’enfasi del melodrammatico o il rigore del testo imparato a memoria. Più incisive le parti non-verbali, dove la bramosia dell’attore emerge prepotente e insolente, come lingua segreta del corpo.