Performance, questa sconosciuta. The invisible city

The Invisible City, performance di Daniele Bartolini, è andata in scena da venerdì 14 a sabato 22 luglio, nell'ambito di Kilowatt Festival

Un gruppo di cinque sconosciuti si ritrova a partecipare alla performance dell’italo-canadese Daniele Bartolini, durante Kilowatt Festival. Già dalla sera precedente, ai partecipanti arrivano sms con istruzioni ben precise, firmate Bartolini. Un modo per entrare in contatto e creare un clima di attesa, che effettivamente mette in moto meccanismi eterogenei, dalla curiosità e l’attrazione, al fastidio. Innescare un dialogo, 24 ore prima dell’appuntamento in una piazza di Sansepolcro, può essere uno dei tanti mezzi per rompere le barriere di tempo e spazio che proprio la performance, per definizione, desidera attuare. Quel senso del fluido, dell’imprevisto e di una simultaneità che tocca casualmente le vite di cinque individui, che niente sanno l’uno dell’altra.

24 ore dopo, alle 23:30, veniamo condotti, da un attore/performer silenzioso, in una zona di Palazzo Le Laudi, e da lì accompagnati nel giardino buio dell’edificio, dove ci sediamo e permettiamo, con la nostra vogliata o svogliata presenza, l’avvenire di The Invisible city. Ci trasformiamo in cinque personaggi: perché rispondendo alle domande scritte su un foglio consegnatoci, guardandoci o no negli occhi, cercando una conferma o provocando una sottile risata (anche per smorzare la tensione), inneschiamo un gioco di ruoli. Alterazione, sincerità, forse menzogna, architetture di risposte impacciate, questi e altri aspetti combinano una situazione stimolante, forse la più riuscita di tutti i 70 minuti complessivi. Le domande del foglio non sono banali, ma proprio mentre la temperatura inizia a scaldarsi, prima ancora che tutte le domande siano state poste, un’attrice interrompe bruscamente, e in modo prematuro, il gioco – forse volutamente, forse per un errore logistico.

Il gruppo è condotto allora in altre stanze, dove avverrano ulteriori azioni, alcune che richiamano direttamente Le città invisibili di Italo Calvino, puzzle di visioni di città inventate, che esistono nel sogno e solo la cui ombra può essere proiettata nella società odierna, come germe da custodire nell’asfalto. Quello che avverrà è un susseguirsi di momenti – alcuni goffi, o troppo pensati – di interazione con i performer (una danza con gli occhi bendati, o un ballo di gruppo sulle note di Renato Zero); altri in cui nuovamente siamo invitati ad aprirci, fornendo alibi e desideri, ricordi e tristezze – che forse non sapevamo neanche di possedere. Questa spinta a cercare indizi dell’Io, se pur partorita in modo talvolta forzato e senza una reale progressione e sviluppo, risulta la parte più interessante dell’intero percorso, che in altri casi appare (a nostro avviso) poco scorrevole.
Se l’idea di base è buona, la realizzazione pratica presenta degli intoppi, e mentre si è dentro il gioco viene da rivivere col pensiero un’altra situazione itinerante e performativa, in luoghi non teatrali, come The Walk di Cuocolo-Bosetti, in cui realmente si va incontro all’ignoto e si è guidati magistralmente da una voce e da un corpo.