La Regina Madre di Santanelli vista da Carlo Cerciello

Continua il sodalizio tra la Elledieffe e Carlo Cerciello che portano in scena al Teatro Nuovo di Napoli in apertura del Napoli Teatro Festival 2018 Regina Madre, testo del 1984 di Manlio Santanelli.

Continua il sodalizio artistico tra la Elledieffe, compagnia teatrale fondata da Luca De Filippo figlio di Eduardo, e il regista Carlo Cerciello che dopo Scannasurice e Bordello di mare con città di Enzo Moscato, portano in scena un altro pezzo della drammaturgia italiana contemporanea: Regina madre, scritta nel 1984 da Manlio Santanelli. In scena al Teatro Nuovo di Napoli dall’8 giugno, nell’ambito del Napoli Teatro Festival.

Sulle suggestive scenografie di Roberto Crea, si svolge il dramma a due voci interpretato da Fausto Russo Alesi (Alfredo) e Imma Villa (Regina).

La prima parte dello spettacolo vede i due vestire i panni di una madre severa, un generale, anche a 75 anni e malata terminale e di un figlio, cinquantenne, che decide di tornare nella casa d’origine per poterle stare vicino nell’ultima parte della sua vita e accompagnarla serenamente alla morte.

Sin da subito però Santanelli rende chiaro che il rapporto tra i due tutto è fuorché idillico: la madre è insoddisfatta di quei figli assenti (la femmina, Lisa, per ora anche fisicamente sulla scena), sfaccendati e falliti, che mai potranno raggiungere lo splendore e la grandezza d’animo del loro povero defunto padre, il figlio dal canto suo è frustrato, continuamente avvilito da quella figura opprimente che sta sempre lì a bacchettarlo e a mostrargli i suoi fallimenti.

I toni sono accesi ma scherzosi, la Regina madre del titolo è un po’ macchietta di se stessa, così rigida, petulante, insistente da far ridere, e Alfredo è goffo, impacciato, esasperato al punto da prendere psicofarmaci per calmarsi in presenza della mamma. Il testo scorre veloce e la prima ora vola portandosi dietro più risate che tempi morti.

Ad un certo punto però avviene un cambio di rotta, segnato dall’entrata in scena di un cappello nero e bianco a falde larghe. I toni diventano cupi e i ruoli iniziano a mischiarsi vorticosamente: Russo da figlio diventa madre e Villa a sua volta veste i panni di Lisa, la figlia fino a quel momento nominata solo di sfuggita. I dialoghi sono pesanti, pregni di un’angoscia atavica in cui vengono riversati su quella figura materna tutte le frustrazioni e i fallimenti del presente, i vuoti esistenziali di Alfredo e Lisa, i matrimoni sbagliati, le sofferenze, tutto viene incolpato a Regina a cui non solo viene rinfacciata una vita senza affetto ma a cui viene strappato, proprio da quei figli, la menzogna che si era creata sul marito, su quell’uomo fantastico che l’amava oltre misura e che altro non è che una creatura fragile, vacua e egoista come tutti loro.

Se di Lisa serpeggia il dubbio di disturbi alimentari, mentre si parla di poco appetito, di vuoti interiori che non si riempono in nessun modo, l’ombra che cala su Alfredo è ancora più inquietante: dalla sua presunta omosessualità vissuta con enormi sofferenze, al racconto di una storia macabra in cui racconta di aver mangiato la moglie, alla dipende da farmaci e droghe.

Tutto questo viene raccontato in un continuo scambiarsi i ruoli, perdendo i punti orientamento e acuendo il senso di angoscia, già perfettamente reso da una recitazione nervosa, aggressiva, che ti fa venire voglia di uscire dalla sala o di far smettere quella violenza fisica e psicologica a cui si assiste inermi.

Per una storia così non c’è lieto fine previsto e lo stesso finale lascia più perplessità e domande che risposte.

La prova attoriale di Russo e Villa è il vero punto forte di un testo che avrebbe potuto perdersi più volte nella banalità o nella confusione ma che riesce invece a rimanere solido e allucinato allo stesso momento.

Ad aggiungere valore le scene claustrofobiche e perfettamente amalgamate con la narrazione di Roberto Crea e i costumi di Daniela Ciancio.

Regina madre è uno spettacolo inusuale, che pur rileggendo il tema teatrale per eccellenza, ovvero il rapporto madre/figlio, lo fa in una maniera innovativa, che può non piacere per certi versi ma che innegabilmente lascia qualcosa su cui riflettere.