
Dopo il Prometeo di Eschilo, Massimo Luconi porta in scena nell’ambito della rassegna Pompeii Theatrum Mundi all’interno del Napoli Teatro Festival, un’altra tragedia greca, l’Antigone di Sofocle, con una modalità completamente innovativa e sorprendente.
Il titolo dell’opera è Antigone, una storia africana e nasce nell’ambito di un progetto portato avanti da Luconi tra il 2011 e il 2013 a St Louis in Senegal, dove il regista ha tenuto dei laboratori/incontri durante i quali ha promosso l’attività teatrale nella comunità africana e ha formato alcuni giovani attori. Con sei di loro ha creato questo spettacolo che nato come una sfida, è divenuto un inaspettato capolavoro.
Il regista sceglie il più classico dei tragediografi, Sofocle, per fondere il teatro occidentale antico e moderno col teatro tradizionale africano e lo fa portando in scena un dramma che ben si adatta alle realtà dei piccoli villaggi africani dove le leggi dello Stato e quelle dell’uomo sono spesso in contrasto tra loro.
La storia di Antigone che per dare una degna sepoltura al fratello Polinice, traditore dello Stato, sfida la legge rappresentata da suo zio, il tiranno Creonte, e per questo viene condannata a morte rappresenta, come dice Luconi, “la dicotomia fra cultura tradizionale del villaggio e emarginazione delle immense bidonvilles, fra individuo e collettività, fra leggi dello stato e leggi non scritte della grande famiglia africana solidaristica e protettiva”.
Ma Creonte, e questo è l’elemento veramente tragico del dramma sofocleo, è esso stesso parte della famiglia, in quanto zio e suocero di Antigone; da qui il tormento sulla via da seguire, se le leggi dello Stato o quelle dell’anima.
L’enorme punto di forza di questa rappresentazione è quel quid in più che gli conferisce la grande tradizione del teatro africano che, a differenza di quello occidentale che si è col tempo indebolito e imborghesito, ha mantenuto un’ancestrale carica vitale rimanendo, citando Luconi, “il luogo dove si compie la catarsi e si rimargina la ferita” così come era per la tragedia greca.
Così circumnavigando l’Europa e passando per l’Africa, il regista approda al cuore stesso del grande teatro antico e ritrova la verve e la visceralità che mancano ad esempio in Prometeo.
Alcune scelte che possono sembrare azzardate, come l’utilizzo degli abiti della tradizione senegalese o la presenza sulla scena del griot, il cantastorie africano che racconta, prega e spiega al pubblico (“vero sacerdote della cerimonia nel quale tutti si identificano e a cui nessuno si sottrae”, come spiega il regista), conferiscono solo maggiore carica emotiva alla storia da cui lo spettatore è completamente rapito.
La performance della compagnia di St Louis è appassionata e profondamente sentita, Luconi abbatte i tabù della prossemica occidentale e fa sì che i suoi protagonisti cerchino continuamente il contatto fisico, che sia durante un tenero rapporto sessuale, una lite o un addio.
La bravura degli attori sta nel sapere abbattere le barriere linguistiche (il francese e il wolof, sottotitolati) e nel saper raccontare la storia soprattutto con i gesti del corpo, le espressioni del viso e il tono della voce, trasbordanti della profonda intensità, intessuta di credenze animiste, tipica delle popolazioni africane.
In un momento storico così delicato, mentre i grandi del pianeta si interrogano su come comportarsi nei confronti dei migliaia di immigrati che arrivano ogni giorno in Europa, Luconi fa una scelta coraggiosa scegliendo attori africani e facendo loro rappresentare una tragedia che parla di tiranni, di ragion di Stato e di perdita di umanità col fine di adempiere ciecamente alla legge.
La morte di Antigone, voluta da Creonte, ha sullo stesso tiranno conseguenze irreparabili in quanto causa del suicidio di suo figlio e di sua moglie e dell’odio del suo popolo nei suoi confronti; rimasto solo, non gli rimane che contare i giorni che mancano alla sua morte. La morale pare allora essere solo una e cioè che le leggi dovrebbero essere al servizio dei cittadini per tutelarli e preservare i loro valori umani, senza mai diventare una trappola mortale in cui il più forte decide e schiaccia.