
Recensire Antonio Rezza è difficile. Non nel senso più banale del termine, piuttosto quanto nella consapevolezza di non riuscire, con ogni probabilità, a riportare in una relazione critica tutto l’universo creativo di un artista che letteralmente mangia la scena nazionale e non solo da quarant’anni. Anche di fronte ad Amistade andato in scena al Teatro Vascello dal 12 al 14 dicembre a Roma, si ripropone lo stesso ostacolo, provo allora a prenderla larga, partendo dalle radici etimologiche.
Probabilmente non c’è alcuna attinenza col nome della nave che da il titolo a un famoso film, in cui uno schiavo ottiene, prima con la forza e poi con l’aiuto della giustizia americana, la propria libertà. Molto più verosimile l’idea che si tratti della parola galiziana “amicizia”, che poi è la stessa del sardo, vista la produzione appunto sarda dello spettacolo. Di amicizia evidentemente, in primis artistica, dopotutto parla anche, fra le altre cose, Amistade, che propone un omaggio a Fabrizio De André.
Un omaggio nevvero, tocca dirlo, un poco sbiaditino, decisamente slegato dalla performance, che in ogni caso giganteggia e vince sempre su tutto, lasciando il cantautore genovese quasi in disparte. Bello in ogni caso il progetto di video mapping di Giacomo Sanna e Pietro Soru che, insieme con le luci di Alice Mollica, restituiscono se non altro le rarefatte atmosfere delle canzoni e delle parole del “Faber”. Una strana coppia insomma, in cui forse l’omaggio si trasforma in pretesto per raccontare altro, lasciando spazio anche a molti frammenti di Fratto_X, altro spettacolo del duo Rezza-Mastrella.
D’altro canto Rezza ricevendo nel 2018 il prestigioso Leone d’oro alla carriera alla Biennale di Venezia, veniva indicato come raro “…artista che fonde totalmente, in un solo corpo, le due distinzioni di attore e performer”. Motivazione innegabile e doverosa, che attribuiva inoltre al talento acuto di Flavia Mastrella la capacità di creare “habitat e spazi scenici” abitati da Rezza “con strepitosa adesione”.

Si ma di che parla allora Amistade? Ipotizzando la disarmante richiesta di una specie di spettatore-bambino-potenziale in cerca di un qualche tipo di indicazione sulla banalissima “trama”, realtà questa più e più volte decostruita con straordinarie rese sceniche dalla coppia Rezza-Mastrella, mi troverei in evidente imbarazzo. Dopotutto sarebbe anche riduttivo attribuirne un qualche tipo agli spettacoli di questo duo genialissimo. Né una buona critica degna di questo nome dovrebbe ridursi unicamente al riportare la sintassi di uno spettacolo con un qualche tipo di giudizio di valore. Come è pure vero spesso accade, leggendo qui e lì specie online, dove regia e tecnicismi, questi sconosciuti, assai di rado vengono nominati.
Che fare per uscire da questo tremebondo impasse? Forse a costo di rimanere intrappolata in uno dei ritornelli linguistici meta-teatrali così cari a Rezza, rimarrò sul primo inutile parallelismo della nave di schiavi. Di cosa siamo schiavi oggi? Della televisione? Dell’omologazione socio-culturale? Dei traumi infantili? O del sempre caro pacchetto dono ricevuto alla nascita e che non smettiamo quasi mai di portarci appresso, altrimenti noto come “senso di colpa”? Amistade parla, anche, di questo e forse più di tutte le altre cose toccate, reiterate, offese, buttate in faccia allo spettatore più attento, questa è quella che ho ritenuto, maldestramente, di portarmi a casa. Insieme all’indimenticabile momento su Rosa da Cascia.
Le molteplici schiavitù che quotidianamente ci fanno preda è ancora e sempre una delle più insidiose realtà a cui è opportuno prestare attenzione, o imparare a farlo. Anche a costo di prendere qualche sberleffo da Rezza che, come sempre, tira in ballo il pubblico, nient’affatto in senso figurato e lo mette a nudo. Non prima di averlo fatto lui stesso. Anche qui senza figurazione. Insomma a tirare le somme, forse per mancanza di mezzi più intellettuali, si dovrà cadere nel baratro del gusto estetico? Cado, sempre ancora e doverosamente col capo chino al fustigator Rezza: “mi piacque”.
Segue in scena al Vascello, fino al 31 dicembre: Fotofinish, che con Hybris che aveva aperto la trilogia, chiudendo idealmente per quest’anno “l’esperienza” rezzana, che rimane sempre e comunque assolutamente raccomandabile.