Ago, capitano silenzioso, eroe romantico e popolarissimo

Ariele Vincenti e La Città Ideale portano nei bar di periferia la storia di Agostino Di Barolomei, capitano negli anni d'oro della Roma

La scena d'apertura di "Ago capitano silenzioso" al punto ristoro del centro sportivo Villa De Sanctis

Forse oggi, specie a chi non macina di calcio, il nome di Agostino Di Bartolomei risulterebbe sconosciuto, eppure soprattutto negli anni ’80, anni d’oro per la Roma calcio, la sua era fra le figurine più ambite dell’album Panini. Sguardo basso, sorrisi radi ma sinceri, braccia incrociate dietro la schiena quando protestava coi direttori di gara, Ago era come molti lo ricordano, un capitano silenzioso. Quando parlava tuttavia, la sua non era una meccanica tiritera di frasi fatte e vuote, come ahinoi tocca dirlo, quelle di calciatori attuali. Agostino era stato un ragazzo di periferia cresciuto a calcio e letture, per questo quando il buon Galeazzi lo intervistava, usava parole come “abnegazione”, “vessillo” e molte altre francamente ignote ai più dei suoi compagni di gara.

Galeazzi nevvero, diviso da Agostino dalla fede calcistica d’altra bandiera, si emozionava lo stesso nell’intervistarlo, anche quando nell’83 la Roma vinceva lo scudetto, perché “pure i laziali je volevano bene”. Così Giancarlo, quarantenne ex ultrà dice di lui, il ragazzetto di Tor Marancia arrivato alle giovanili della Roma e poi alla tanto sudata maglia da titolare. A interpretare questo personaggio amico d’infanzia del capitano, è Ariele Vincenti, che con “Ago, capitano silenzioso” ci regala un’ora di spettacolo puro, popolare, verace, pieno di emozioni, attorno alla figura di questo anomalo capitano. Nato centrocampista fra i campetti dell’O.M.I., acronimo di Ottica Meccanica Italiana, la fabbrica tirata su da Alberto Nistri, da cui poi sarebbe nata una storica società calcistica romana, ben presto si fa un nome nelle giovanili, anche sui calci piazzati e si reinventa in una seconda fase carrieristica come “libero”.

Sì Agostino Di Bartolomei era un uomo libero, dentro e fuori dal campo, ma la sua è stata una parabola breve: dopo la sconfitta contro il Liverpool nella finale della Coppa dei Campioni del’84, i dissidi con la società, poi l’allontanamento, il passaggio al Milan, al Cesena e infine alla Salernitana. Quasi un lento riavvicinamento in qualche modo alle origini della sua famiglia, lì dalle parti di Castellabate, dove si trasferirà definitivamente dopo il ritiro dal calcio. Taluni da qualche anno avevano preso a schernirlo, lo chiamavano Ninna Nanna o Lumacone, per quel fare “macchinoso” in campo e davanti ai microfoni, ma la sua era un’eleganza ferita, quella di un calciatore amante della cultura, del fairplay, della maglia, quella giallorossa.

Un amore mai dimenticato dalla curva sud, quella dove militava Giancarlo, che dieci anni esatti più tardi da quella sconfitta in campo, si ritrova col Corriere dello Sport arrotolato sotto un braccio al “bar de Sergio”, senza il coraggio di sfogliare quelle pagine rosate dove si parlava del suicidio di Ago. Un colpo al cuore, così titolava la prima pagina, Di Bartolomei si era sparato nella sua casa nel salernitano, mentre suo figlio dormiva nella stanza accanto. E’ l’occasione per Giancarlo, trasferitosi ormai da molti anni a Casalotti, di ricordare con affetto e commozione l’Agostino ragazzo, con cui condivideva la passione per il gioco del calcio.

Ariele Vincenti in “Ago, capitano silenzioso”

Eccolo allora ritornare al campo dell’O.M.I. con l’amico Sergio il barista, dove però troveranno solo alberi ed erbacce. I loro ricordi di gioventù sembrano perdersi fra quelle sterpaglie, versi di Trilussa e cori da stadio, ma l’incontro fortuito con un altro amico d’infanzia, Cesare e poi con un vagabondo, tifoso pure lui della “maggica”, daranno a Giancarlo la giusta intuizione per scrivere la parola più adatta da dedicare al grande capitano scomparso, su un enorme striscione srotolato a via Gian Giacomo 12, proprio dove Ago aveva trascorso la giovinezza.

Rimane quel delicato silenzio, fra lacrime e rimembranze, come forse sarebbe piaciuto dire a lui, con l’amarezza tragicomica tutta romana che si interroga sul perché di quella tristezza, della depressione, ma soprattutto di quella pistola nel cassetto. Perché a Roma “Si te voi ammazzà”, magari “buttatte ar Tevere”, prima “devì trovà parcheggio” e chissà se questo avrebbe evitato la tragedia. Se lo domanda teneramente Giancarlo, offrendoci così uno spaccato di vita vera e assolutamente autentica.

Vincenti non si smentisce e ritorna col suo talento di racconta-storie, ma pure attentissimo osservatore e soprattutto “ascoltatore”, a cui non occorrono impianti scenici di grido, ma solo voce e cuore. Accoppiata efficacissima, spesso mancata da nomi prezzolati, ma che invece si ritrova in questo format voluto da Vicenti in collaborazione con La Città Ideale, che porterà il racconto di Ago nei bar di periferia. Un piccolo spiraglio di luce, dopo l’annuncio francamente incomprensibile della giunta capitolina di non concedere il contributo dell’Estate Romana alla splendida iniziativa “I nasoni raccontano“, con cui il gruppo de La Città Ideale ha riportato finalmente il teatro nei quartieri romani, non ultimo proprio quello di Centocelle, dove Ariele ha offerto la parabola di Bartolomei nel Bar del centro sportivo di Villa de Sanctis.

Ci saranno dunque nuove repliche della storia di questo capitano, eroe silenzioso e romantico che non vogliamo dimenticare e ci saranno nei bar di cintura fra la Prenestina e la Casilina e speriamo anche oltre, certamente fra tanti applausi. L’invito dunque è quello a seguire tanto Vicenti quanto La Città Ideale, sognando, auspicando, ma pure ri-conquistando, perché no, anche in nome di eroi popolari come Agostino, un territorio, quello delle periferie, spesso dimenticato dalle istituzioni, specie quando si parla di teatro. Allora palla al centro, si gioca!