
Il musical ritorna protagonista assoluto al Teatro Nazionale di Milano con una nuova produzione targata Stage Entertainment che quest’ anno punta su un cult movie come Singin’ in the rain, affidandolo alle amorevoli cure registiche di Chiara Noschese.
E se state pensando che un film degli anni Cinquanta, per di più ambientato nella Hollywood degli anni Trenta, sia stato, a voler essere ottimisti, un azzardo, tenuto conto della frenesia instagramabile dei nostri tempi, beh… dovrete ricredervi in quanto fin dalle prime battutte dello spettacolo è chiaro che Gene Kelly e Stanley Donen la sapessero molto lunga.
Ma partiamo dalla storia di Singin’ in the rain che vede come protagonista Don Lockwood (Giuseppe Verzicco) un divo del cinema muto che fa coppia fissa, in una serie di pellicole di successo e di copertine patinate, con Lina Lamont (Martina Lunghi). A rovinare l’ idillio in salsa hollywoodiana arriva però il sonoro, circostanza che porterà produttori e maestranze a ripensare completamente al loro lavoro, cambiando in corso d’ opera l’ennesimo melenso film muto di cui Don e Lina sono protagonisti. Sullo sfondo le idee dell’ istrionico amico-compositore di Don, Cosmo Brown (Mauro Simone) e la storia d’ amore di Don con Kathy Selden (Gea Andreotti).
La trama proietta quindi lo spettatore in un momento fondamentale per la storia del cinema, il passaggio dal cinema muto al sonoro, portando in scena in modo ironico e spensierato i timori per il futuro e le pene d’ amore del divo Don, offrendo al pubblico in sala una serata di leggiadria che solo certi film di una volta sanno regalare.
Se la sceneggiatura e le canzoni (tutte tradotte, tranne una) riaffiorano da un periodo particolarmente ispirato di Hollywood, di certo la messinscena di Singin’ in the rain non poteva essere da meno: per fortuna può contare innanzitutto sul supporto di un cast che recita, canta dal vivo e balla in modo impeccabile.
Infatti non solo il protagonista Giuseppe Verzicco, che oltre ad essere un abile perfomer ha anche un perfetto physique du rôle da divo degli anni Trenta, ma tutti contribuiscono a fare di Singin’ in the rain uno spettacolo con poche sbavature. In particolare una menzione d’onore va al vulcanico Mauro Simone e “senz’altro” a Martina Lunghi che riesce a strappare un sorriso ogni qual volta apre bocca (e sui motivi, da moderno recensore che ci tiene alla sua incolumità, evito di spoilerare).
A completare la lista degli ingredienti, i coloratissimi costumi vintage di Ivan Stefanutti e la scenografia di Lele Moreschi in grado di ricreare a teatro il “making of” di un film: compito non facile, visti gli spazi ristretti, ma che con vari artifizi viene portato a termine.
Insomma, in un’uggiosa serata autunnale milanese Singin’ in the rain è sicuramente il rimedio migliore per riscaldare corpo e anima dopo aver abbandonato, magari con poca convinzione, il binomio plaid-divano.