
La sala del trono, in un quadrato tutto rosso regale, un’aula parlamento e tra gli spalti, in coro, dame e cavalieri, acclamano la regina d’Inghilterra Elisabetta I, vestita di taffetà bordeaux/noir con corpetto a decorazioni in oro e luccichii in tinta, lungo tutto il costume. Annuncia il suo matrimonio con re di Francia, ma è innamorata del conte di Leicester. Ma la sua supremazia è indebolita, sia regalmente che in sensualità, da Maria Stuarda, prigioniera nel castello. E canta “Dal ciel discenda un raggio che rischiari ‘l mio intelletto…”, clemenza o vendetta, l’atteggiamento nei confronti della citata, regina di Scozia.
Il colpo di fulmine ha sedotto Leicester alla vista della prigioniera e reduce dalla visita a quest’ultima con un foglio scritto da lei, Talbot, lo consegna al conte e rinfocola la passione. Elisabetta con un anello cerca di metterlo alla prova, e riaverlo a sè, ma ne ottiene solo indifferenza. “Tutti colei seduce!… è d’ogni cor l’incanto” e pure se ben disposta alla pietà è il senso di vendetta a vincerla.
La botola del suggeritore mutata in andito alla prigione, trova in cima alla scala Maria Stuarda nel castello di Fotheringhay, in mezzo al bosco. Se ne scorgono gli alberi e gli sterpi dall’alto, dagli spiragli di luce che irradiano la pedana e le mura. L’arrivo del conte di Leicester annuncia l’arrivo della regina verso la quale l’impegno forte sarà alla ricerca della pietà. Costei è una donna buona con un grande senso di clemenza verso la prigionia della regale e pertanto il conte esorta Maria ad atteggiamenti pacati. Ma Maria Stuarda è altera e con un temperamento forte e poco incline alla sottomissione.
“Morta al mondo, ah! morta al trono…”, eccola Elisabetta. Bella scena le due regine per mano, questa reduce dalla caccia arricchita di un mantello verde in degradè bordeaux come l’abito e la Stuarda in taffetà color acciaio. Bando alle cerimonie, sulla pedana del trono, tramutata in ring l’una in un angolo incitata alla vendetta da Cecil, il gran tesoriere, offende al grido di adulterina; l’altra in diagonale nello spigolo opposto, viene sospinta a toni soft dalla nutrice Anna, da Talbot e da Roberto di Leicester al fine di muovere a pietà la regnante. Ma l’altero carattere grida invece alla rivale il suo essere figlia impura di Bolena, parole incaute per ogni ipotesi di riconciliazione. Questa la trova il pubblico grazie alla musica ammaliante di Gaetano Donizetti, motivo di passione nel direttore d’orchestra Paolo Arrivabeni e luogo di fedeltà nel timbro vocale e nel ruolo per gli interpreti in un allestimento scenico tutto mirato alle tavole di focus scenico, emblema di questa edizione.
Quindi se nel desiderio di pietà, Elisabetta si cruccia di non poter aver pietà perché Maria è troppo altera; quest’ultima non può che attendere il patibolo nella sua cella. Vestita di bianco e guanti lunghi di regalità perduta, quindi rosso lacca, riluttante a qualunque mediazione di Cecil, offertole per il tramite di un confessore protestante, resta sola con la sua croce cristiana e il suo fido conte Talbot. Al grido del coro dei familiari di Maria che deplora come barbara morte l’infamia di un “Anglia regina”, il funesto destino compirà la scena e i bei costumi di Ursula Patzak, in una scena scarna e direzione scenica pressoché statica, quella di Andrea De Rosa, la bella voce di Carmela Remigio, Maria Stuarda appunto, caratterizzeranno lo spettacolo.