Il japonisme di Iris e la sua ieratica catarsi

Al Verdi di Pisa il velato capolavoro mascagnano festeggia i 120 anni sotto la regia di Hiroki Ihara e la direzione di Daniele Agiman.

Il capolavoro mascagnano, preda di chiari influssi di japonisme, torna nel fortunato triangolo toscano Livorno-Pisa-Lucca per festeggiare i suoi 120 anni con una regia d’eccellenza nipponica, Hiroki Ihara.

Opera complessa, carica di simbolismi ed esotismi, con tocchi al lontano Oriente, a tratti strizza l’occhio al realismo (come l’ira del Cieco) che rese famoso il compositore, ma evoca con inaudita preveggenza anche echi espressionistici (si pensi al preludio del terzo atto): Mascagni stesso la definisce la sua “opera più filosofica”.

E senz’altro, il 22 ottobre del 1898 rappresentata in prima assoluta a Roma, l’opera fu accolta da una critica spaccata in due, tra gli entusiasti e le feroci stroncature. La giapponese, così doveva chiamarsi in origine, mostra un libretto firmato da Illica carico di rimandi tematico-allusivi: da richiami nipponici che fanno sorridere (come i nomi Osaka e Kyoto, città del Giappone), al simbolismo floreale di Iris, fino al padre Cieco, emblema di un’assenza di illuminazione che porta all’egoismo più cupo, fino al dialogo tra Iris e la sua bambola, sorta di trasposizione e sdoppiamento di sé, sogno profetico di un destino imminente. Il tutto poggia sullo ieratico Inno del Sole, vera colonna portante di tutta l’opera, inizio e fine ciclico verso la salita al Nirvana.

Iris photocredit Augusto Bizzi, Livorno

Sopraffina la regia di Hiroki Ihara, che cattura il movimento proprio del teatro Nō per trasporlo nell’opera mascagnana, e come la musica sottolinea micro movimenti, pose plastiche ed espressioni facciali marcate, pennellate brevi e minimali capaci di proiettarci in quel gusto tutto orientale ed evocativo, dove il tempo sembra fermarsi e la dimensione si fa imperscrutabile e sognante.

L’arte orientale è oltremodo connotata dalle scene di Sumiko Masuda, che con maestria in pochi tratti ci trasporta nel Giappone più noto, dove svetta ridotta all’essenza la tradizionale machiya, circondata dagli Iris di Hokusai e sullo sfondo il Fuji rosso del medesimo pittore, proiettato sullo sfondo. Ed ecco che la povera abitazione si trasforma nella casa di perdizione delle geishe, lo Yoshiwara, dove la fanciulla si ritrova suo malgrado, e dove fa mostra di sè l’erotico Shunga Il sogno della moglie del marinaio, che reinterpreta in chiave di sfrenato piacere l’evocativa aria della piovra. Sfarzosi kimono e le maschere rituali che tornano in tutta la messa in scena, a connotare prima il metateatro della piece con protagonista Dhia, quindi trasposizioni finali dei tre personaggi maschili, contribuiscono a trasmettere a tutta la rappresentazione una connotazione raffinata nei più piccoli dettagli.

Iris photocredit Imaginarium Creative Studio

Buona prova per l’Orchestra Filarmonica Pucciniana sotto la solida direzione di Daniele Agiman. Potente il Coro Ars Lyrica nell’Inno del Sole, coadiuvato dal coro aggiunto istruito da Luca Stornello, il tutto amalgamato con cura e maestria da Marco Bargagna.

Per la prima pisana ci sono state alcune defezioni, così il cast ha visto nei ruoli di Osaka non più il tenore Poalo Antognetti bensì il giovane Denys Pivnitskyi, che mostra una sfogata vocalità su cui dovrà certamente lavorare, mentre il soprano Maria Salvini interpreta i ruoli di Dhia e di una Guecha con una linea vocale non sempre precisa, ma dalla buona presenza scenica.

La soprano dalla solida carriera Paoletta Marrocu ha interpretato con una certa sicurezza la delicata Iris, dando però il meglio di sé solo a partire dal secondo atto, con punte di forte drammaticità nell’aria della piovra accolta da accorati applausi a scena aperta.

Basso profondo ma non sempre ben calibrato il Cieco di Manrico Signorini. Tra tutti svetta il basso-baritono Carmine Monaco d’Ambrosìa, ottimo interprete del viscido Kyoto, equivoco e subdolo al punto giusto, dal fraseggio ricco di colori e sfumature.

Una prova comunque di successo la prima pisana, accolta con calore da una sala gremita ed entusiasta, che nell’enfasi finale, in un climax musicale e vocale, si è unita alla catarsi purificatrice con lunghi e scroscianti applausi.

Iris photocredit Augusto Bizzi, Livorno

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