Paolo Lorenzoni, “Vivrò per sempre”. La poesia che eterna l’anima

Cogliere il momento in cui si apre l’anima è come vedere passare un treno e scegliere il tempo per centrare l’unica porta aperta

Edito da Albatros Il Filo
Dedicato a “Pino”, il mio papà scomparso nel 2008: non credo avresti approvato tutti i contenuti del mio sentire, ma sono sicuro saresti stato lo stesso orgoglioso della mia opera.

Vivrò per sempre poesie e altro, emozioni di mezzo cammino di un uomo assolutamente comune, la raccolta poetica di Paolo Lorenzoni. Già dal titolo notiamo due richiami letterari: quello dantesco, in cui un uomo “di mezzo cammino” si ferma a fare un bilancio della propria vita, abbastanza grande da poter guardare indietro e abbastanza giovane da chiedersi cosa fare nel restante del tempo. L’altro foscoliano, dove il “vivrò per sempre” che racchiude i componimenti, esprime la funzione eternatrice della poesia. È lo stesso autore, infatti, a sostenere che un semplice epitaffio associato a una foto non possa sintetizzare l’intera esistenza di un uomo: “Non la mia. La mia no”.

L’opera è suddivisa in cinque parti. Prima di tutto, il Mondo. Un mondo in cui i rapporti interpersonali sono compromessi dalle chat su internet e il poeta si ribella: “usciamo e diciamo qualcosa”. Dove c’è la prostituzione “Bellezze giovani multicolore si esprimono mute”, la discoteca “Una miriade di silenzi d’anima”.
Una quotidianità che tutti abitiamo, in cui combattiamo e cresciamo. Una critica velata alla società odierna, ma anche la necessità di guardare oltre, di cercare un proprio senso, appunto, nel mondo.

Poi, come a imbuto, entriamo nella seconda parte Momenti, lampi di vita, “esistenze affaccendate colme di attimi pieni di tutto”. I capitoli successivi, Fiori e Radici, esprimono una dicotomia perfetta per esaltare l’apparenza e la sostanza, l’avere e l’essere da cui tutto è cominciato. Il verso si fa più personale, “le due mani gelide di lei fra le mie”, le “pareti calde di stanze al sole orientate”.
Il fiore, simbolo di bellezza dai colori carichi di significato, esprime la caducità del suo essere fragile, una sorta di punta dell’iceberg. Le radici, invece, connotano la stabilità, la profondità della terra da cui tutto nasce. Sono il primo abbozzo di quel senso tanto ricercato.

La Fine chiude il cerchio nel luogo in cui “tutto tace”. Il lettore si orienta nel testo non solo attraverso le immagini scaturite dai componimenti, ma anche grazie agli approfondimenti della prosa, in cui l’autore si racconta e intervalla le emozioni di mezzo cammino.

Un testo variegato, costruito tra i pensieri approdati alla “sabbia bagnata dai ricordi”. Un luogo meno arido dove poter continuare a esistere quando le luci si saranno spente.

Noemi Neri: consulenzaletteraria@libero.it

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