
Mentre gli studi Pixar, dopo un decennio di successi ed idee originali, sembrano ormai essere finiti nel pericoloso gorgo dei sequel, i fratelli maggiori della Walt Disney Animations continuano a sfornare opere prime di un certo livello.
E’ il caso di Oceania, titolo a casaccio dato dagli adattatori italiani per evitare di usare quello originale ossia Moana: che si sa, basta un nome ambiguo cercato su Google per trasformare un piccolo e innocente spettatore in un abbonato premium a Youporn! Bando però alle digressione e torniamo al nuovo film d’animazione Disney, nelle italiche sale a partire dal 22 dicembre.
La trama vede come protagonista Vaiana, una vivace principessa del Pacifico meridionale più interessata a solcare i mari che a diventare una guida per il suo popolo. Ma si sa, l’occasione fa la principessa marinaio e così, a causa di una strana carestia, la giovane, incoraggiata da una nonna piuttosto svalvolata, decide di mettersi in viaggio alla ricerca del leggendario Maui, eroe mitologico ed egocentrico con cui intraprenderà una difficile missione per fermare l’avanzate delle tenebre.
Raccontata così la trama sembra piuttosto nel solco della tradizione Disney, ma in realtà oltre ai soliti ingredienti (animaletti strambi come spalle comiche e canzoni a manetta), in Oceania qualcosa di diverso c’è ed è la protagonista: Vania infatti non è la solita principessa disneyana in cerca del principe azzurro, bensì è una giovane intraprendente desiderosa di conoscere il mondo che si nasconde oltre il rift, ossia il limite che suo padre ha vietato a tutto il popolo di attraversare a causa di una sua disavventura giovanile. Degno di nota è anche Maui, una sorta di Ercole polinesiano dall’ego ipertrofico che dovrà fare i conti con i suoi passati fallimenti prima di trovare il coraggio di affrontare una nuova, incredibile avventura.
Se la trama di Oceania è un felice mix tra tradizione ed innovazione, la resa grafica è una gioia per gli occhi: tante le trovate originali partorite dalla fervida immaginazione del prolifico duo Ron Clements e John Musker, tra cui i tatuaggi perennemente animati di Maui e i terribili/adorabili pirati-cocchi, liberamente ispirati ai Minions (anche se dalle parti degli studi Disney non ammetteranno nemmeno sotto tortura).
Last but non least, la colonna sonora: azzeccata come quella di Frozen, ma molto meno invasiva (tradotto: si canta molto meno!), regala alcuni pezzi degni di un musical.
Le uniche perplessità arrivano dal doppiaggio italiano, dove spicca (in negativo) il granchio gigante Tamatoa con l’inconfondibile voce di Raphael Gualazzi, fuori luogo non solo nelle parti “dialogate”, ma anche in quelle cantate… cosa che la dice lunga su quanto sia stata felice la scelta della guest voice di turno.
Per il resto il film merita, non deluderà nè grandi nè piccini e ha sicuramente tutte le carte in regola per diventare il film d’animazione dell’ormai imminente Natale.