
Ci sono almeno due motivi per cui la mostra “Haring, Banksy, Obey: Libertà non autorizzata”, inaugurata il 6 dicembre al museo Le Carceri di Asiago (VI), è un evento anticonvenzionale. Innanzi tutto perché è decisamente off topic rispetto al tradizionale clima natalizio nel quale è stata inaugurata. In secondo luogo, perché porta in un paese di montagna proprio quella forma espressiva, la street art, che tra tutte è la più urbana e metropolitana.
Se poi aggiungiamo che sono le vecchie prigioni cittadine ad ospitare le oltre 50 opere di street artist, i quali per definizione si muovono sempre lungo il limite tra estetica e contestazione, tra libertà di espressione e indole sovversiva, allora il gioco di rimandi e di contrasti si fa ancora più intrigante. Anzi, forse proprio i molteplici aspetti disruptive di questa mostra realizzano quello che è sempre stato l’obiettivo di ogni street artist, cioè uscire dalla propria strada e poi dal quartiere, rompere i confini della città e delle convenzioni.

“La mostra – spiega Matteo Vanzan, direttore artistico di MV Arte e curatore dell’esposizione – è strutturata per essere un’indagine scientifica, oltre che artistica, sul fenomeno generazionale della street art, partendo dalla nascita del graffitismo nella New York di fine anni sessanta con artisti di prima e seconda generazione, per arrivare fino ai nuovi protagonisti contemporanei.”
Dai marker di Keith Haring agli stencil di Banksy, la street art ha sempre avuto la capacità di parlare direttamente al pubblico, senza filtri. Shepard Fairey, alias Obey, con i suoi manifesti potenti come “Hope”, diventata l’icona della campagna presidenziale di Barack Obama, ha poi dimostrato che i messaggi nati sui muri possono avere un’eco planetaria.
“Credo che la street art – prosegue Vanzan – sia l’unico vero fenomeno realmente internazionale: abbraccia artisti da tutto il mondo in un dialogo incessante nato nel momento stesso in cui Taki 183, il writer che diede inizio a tutto, venne intervistato dal New York Times nel 1971 nell’articolo TAKI 183 Spawns Pen Pals. Grazie a quell’articolo divenne a tutti gli effetti il padre del graffitismo e la sua leggenda si è estesa a dismisura. Tutto questo interessamento mediatico verso un fenomeno sovversivo e di istanza polemico-sociale fu solamente la miccia che fece esplodere l’attenzione verso quello che viene ancor oggi considerato un luogo della notte e dell’invisibilità in un’attitudine che trova in Banksy la sua definitiva consacrazione.”

Oltre ai nomi più noti come quelli di Haring, Banksy e Obey, ma anche di Jean-Michel Basquiat, protagonisti del percorso espositivo sono coloro che, dalla New York di fine anni ’60, sono considerati tra i principali portavoce di un’espressione che ha unito intere generazioni: Cope 2, Delta 2, Dondi, John Fekner, King 157, Kool Koor, Indie 184, JonOne, Bo 130, Microbo, Seen, Taki 183, Toxic, D*Face, Dolk, Stelios Faitakis, KayOne, Logan Hicks, JR, Mike Giant, Mr. Brainwash, Slog 175, Sten e Lex, Swoon, Mr. Wany e molti altri ancora.
La visita permette di immergersi nel mondo della street art ammirando lavori su tela, legno, carta, serigrafie firmate, poster e memorabilia, accompagnati da una colonna sonora hip hop, rock, punk ed elettronica di artisti quali Public Enemy, Beastie Boys, N.W.A., Krs One, Blur, Massive Attack, Offspring, Bad Religion, Prophets of Rage, Rage against the machine…
Una mostra che non punta a risolvere bensì a mantenere attuali le domande sul rapporto tra la street art e l’arte “ufficiale”, tra bellezza e disagio, tra arte e protesta. Domande che meritano di rimanere tali per rimanere vive, perché finché restano vive resterà viva la street art. Tanto sui muri di una metropolitana di New York quanto negli spazi ben curati di un museo.
La mostra “Haring, Banksy, Obey: Libertà non autorizzata” è aperta al museo Le Carceri di Asiago fino al 23 febbraio, il sabato e la domenica dalle 10.00 alle 12.30 e dalle 15.30 alle 19.00.
Per informazioni: tel. 0424-600255, info@museolecarceri.it, asiago.to, mvarte.it