Intervista a Domenico Infante

Lo scrittore di "Sento la neve cadere" parla di sè e dei suoi romanzi, ultimi e futuri.

Questo mese abbiamo incontrato lo scrittore Domenico Infante per scambiare qualche battuta sulla sua vita e sulla sua attività di scrittura.  In particolare su Sento la neve cadere, un romanzo edito nel 2014 da Scrittura e Scritture.

Parlarci di questo romanzo, perché un lettore dovrebbe leggerlo?

Sento la neve cadere è un progetto ampio, ambientato in quel piccolo scrigno di tesori che è Petralia Sottana, un comune delle Madonie, in Sicilia. Nel romanzo vivono due storie che vanno di pari passo, quella del protagonista Ersilio che per errore diventa Esilio e poi c’è la Storia con la maiuscola, quella in cui l’altra, quella piccola con i suoi uomini e le sue donne finisce per ricadere. Ho parlato di protagonista ma in realtà leggendolo sembra che non ci sia un solo protagonista ma che l’intera umanità finisca per esserlo. Una umanità cui il potere finisce per spezzare i legami disumanizzandola. È una storia d’amori. E il plurale non è un errore di battitura. 

Parlarci di te, se ti dovessi descrivere per i nostri lettori che aggettivi utilizzeresti?

Sono curioso. Di tutto. Mi piace sapere come funzionano le cose, i rapporti, i sentimenti. Una sorta di esploratore. Ero così da bambino e sono rimasto così.

In più sono ostinato. Qualcuno preferisce testardo perché la parola ostinato ha assunto connotati negativi ma io ho nelle orecchie le parole dell’Orlando Furioso che ben mi rappresentano:

Che chi ne l’acqua sta fin’alla gola
Ben’e ostinato se mercè non grida

Quali sono i tuoi autori di riferimento?

Non credo si possa parlare di autori di riferimento. Posso dire quali sono gli autori che mi piacciono e che in qualche modo influenzano il mio modo di scrivere, quello sì.

Mi piace la lucida follia di Saramago. La sua capacità di inventare situazioni surreali, distanti eppure vicine alla realtà, crude, ironiche, profondamente interiori. Il suo “Tutti i nomi” è impressionante perché, a parte quello del protagonista, non c’è nessun altro nome, in un romanzo che parla di dati personali e di identità.

Mi piace Erri De Luca per la sua poesia “metalmeccanica”, proletaria e umana.

Mi piace Tahar Ben Jelloun per la forza dirompente della sua narrativa e per la descrizione del modo di mangiare la mozzarella in “L’Albergo dei poveri”

Dal tuo esordio Cronache del Vicolo fino ad oggi cosa è cambiato per te nel modo di scrivere e cosa è per te la scrittura?

È cambiato molto. Ho dormito una notte con la morte accanto e ha toccato la mia anima con la sua falce cambiando il mio approccio alla vita e alle cose. Mi sono addormentato e risvegliato con la consapevolezza di essere morto e vivo e di avere un pezzo di plastica al posto di un tratto di aorta.

Tutto questo si riflette nella scrittura, nella voglia di esplorare stili nuovi e tematiche differenti.

La scrittura è un bisogno creativo e un lavoro. Un romanzo è un progetto, qualcosa che si può o meno pianificare ma la sua idea di base deve essere completa nella testa dell’autore, può crescere, abortire come qualsiasi progetto umano. Questo non svilisce la scrittura ma la responsabilizza, la rende adulta.

Che progetti hai per il futuro?

Ne ho molti. Una storia completa ambientata in questi nostri giorni difficili e due in fase di scrittura. Una è poco più di un progetto, l’altra già ben articolata, conto di mettere l’ultimo punto entro la fine dell’anno. Ma non mi piace anticipare le cose, c’è un tempo per ogni cosa, lo dice pure Ivano Fossati

C’è un tempo perfetto per fare silenzio
Guardare il passaggio del sole d’estate
E saper raccontare ai nostri bambini quando
È l’ora muta delle fate. 

Questa canzone mi è diventata cara come il mio Don Saverio D’Amore (Cronache del Vicolo) o come Esilio il protagonista di “Sento la neve cadere”. Un non-padre e un non-figlio. 

Il complimento più bello e la critica che più ti ha colpito che hai ricevuto?

È bello che chi ti legge, appena finito un libro te ne chieda uno nuovo. Il complimento più bello che ho sentito è in realtà una serie di domande legate alla vita extraromanzo  dei personaggi, come se queste vite narrate non fossero pura invenzione ma uscissero dalle pagine dei libri, una sorta di detenuti in semilibertà, e vivessero vite reali.

Conservo tutte le critiche e mi diverte leggere paragoni con autori diversi, spesso diversissimi tra loro. È successo con “Cronache del Vicolo”, in cui qualcuno vedeva la scrittura di Marotta o di Erri De Luca. In “Vento e Sabbia” altri hanno visto la potenza descrittiva di Manzoni e in “Sento la neve cadere”, un omaggio a Verga. Ne sono lusingato, intendiamoci, anche se non mi riconosco in questi paragoni. Ma se si finisce per accomunare autori così diversi, vuol dire che forse assomiglio realmente solo a me stesso.  

Grazie per la disponibilità!

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