
Confrontarsi teatralmente con un poeta come Dino Campana è già di per sé una bella sfida, farlo bene è un traguardo non alla portata di tutti, soprattutto senza cadere nel facile gioco del “riciclo” di versi e parole d’altri, come qualche drammaturgo contemporaneo è abituato a fare. Non è il caso, per fortuna, di Vinicio Marchioni, che lascia da parte i versi dei Canti Orfici e si concentra sul Dino Campana uomo “manicomiato”, restituendone al pubblico una visione non edulcorata e al tempo stesso profondissima.
Campana fu internato a Scandicci per schizofrenia per quattordici anni, sostanzialmente fino alla morte, anni di isolamento e follia, lontano dalla famiglia, dalla madre fuggiasca Fanny, dai libri, da lei, Rina. Al secolo Marta Felicina Faccio, fu per tutti Sibilla Aleramo, ma per lui semplicemente Rina, il nomignolo di bambina con cui non smise di ricordarla, odiarla e amarla. Dino-Vinicio la evoca come una delle tante ombre sul suo cuore e la sagoma di lei inizia a stagliarsi sullo sfondo, mentre il racconto rocambolesco della vita di Campana scorre veloce, fra ricordi, bugie, suggestioni, quelle che secondo il poeta possono lenire le pene dell’animo. Una amore lungo un viaggio in fondo breve, in termini temporali, ma che segnò per sempre i due amanti, creature selvagge ed estranee al loro tempo: un intellettuale borderline e una femminista ante litteram, una coppia che poteva vivere solo nell’alba, perché “dovrebbe esistere solo e soltanto l’alba per l’amore”.
Menzione specialissima per il musicista Ruben Rigillo che accompagna le parole (folli?) di Campana, passando agilmente dalla tromba al piano, dal piatto al canjonin, non un semplice sottofondo musicale, ma vero e proprio protagonista della scena. Piccola ma intensissima incursione di Milena Mancini che dà voce alla Aleramo, anche qui lasciando a casa i versi e concentrandosi sul suo viaggio di donna ferita, ostile, inquieta, innamorata.
Uno spettacolo davvero bello, l’allestimento evocativo con il gioco di ombre e il pavimento ricoperto di pagine poetiche accartocciate, quasi a volerne rimarcare la “poca” importanza che molti purtroppo attribuirono ad una voce che fu piuttosto una delle più interessanti e originali del novecento, colpisce l’occhio e l’anima, il tutto in perfetta armonia col disegno luci, azzeccatissimo. Assolutamente fuori dagli schemi, coraggioso, unico, da vedere.