
Ho visto e apprezzato molte volte Filippo Timi a teatro. A differenza di certi presunti puristi del classico, che negli anni non gli hanno risparmiato aspre critiche per le sue riletture di grandi capolavori. In verità laddove altri vi ravvisavano del ridicolo, io ho sempre colto piuttosto una visione personale e audace.
Una su tutti, il suo Don Giovanni. Ne sono stata spettatrice in una piovosa serata all’Argentina, dopo aver fatto almeno un’ora di fila in un teatro strapieno. Quella volta riuscii mio malgrado ad accaparrarmi solo una manciata di posti in piccionaia, tuttavia seppur con una visione molto ma molto aerea, lo spettacolo è rimasto una delle rappresentazioni più belle a cui abbia mai assistito. E a me piaceva soprattutto per quell’eccesso che altri mal giudicavano.
Il fatto è che Filippo Timi è un’artista, di quelli veri, dalla testa ai piedi, è la sua personalità dissacrante a fare spettacolo, anche quando sta dentro un prodotto brutto. Perché sì qualche robina meno riuscita la vanta pure lui in carriera, ma chi alla fine può dichiararsene privo nel mondo dell’arte? In Amleto alla seconda andato in scena all’Ambra Jovinelli di Roma dal 7 al 12 gennaio 2025 Timi gioca su sé stesso, proprio su queste ambiguità professionali, dichiarando apertamente di essere troppo bello per fare “cose impegnate”.
In effetti sul dato estetico è difficile smentirlo, ma sulla sua azione direi d’impatto su Shakespeare, io più che di mancati intellettualismi (quelli sì che sono ridicoli), parlerei piuttosto di una versione del tormentato principe di Danimarca tutt’altro che banalizzata. L’Amleto di Timi è un Timishow indimenticabile, che non tradisce l’autenticità del personaggio. Semmai lo attraversa, lo eviscera e lo offre al pubblico come un prisma sfaccettato in cui ciascuno può cogliere il proprio riflesso. A conferma il fatto che dopo averne vestito i panni, li lascia a un altro, rimanendo a guardarsi da fuori, a fare il commentatore esterno di sé stesso. Io l’ho trovato geniale.
Ma so che i detrattori parleranno di testo stravolto, Shakespeare oltraggiato e un mucchio di altre cose noiose da critici dei colletti bianchi. Ebbene se un non-edotto della trama originale (e ahimè temo ne esistano parecchi) vedesse l’Amleto di Timi cosa ne ricaverebbe?

Gioia. Quadri visivamente stimolanti, ricordi d’infanzia, stilettate sull’omofobia. E poi colore, paiettes, palloncini dentro una grande gabbia piena di tutto e niente, di superego, rabbia, magneti, elio. Insomma un gigantesco calderone di creatività ibrida e strafottente. Adorabile.
Che poi non è neppure vero che non si parla della trama originale, c’è l’ammazzamento di Polonio dietro la tenda, Laerte che vuole vendicarlo, la regina Gertrude preoccupata di scaldarsi il letto, la povera Ofelia (una mirabile Elena Lietti) e perfino il fantasma del vecchio re, che qui però è una donna. Nello specifico Marilyn Monroe (la strepitosa Marina Rocco), perché una Marilyn c’è sempre in tutte le regie di Timi. A questo punto più che un’ossessione, quasi un matrimonio di anime. Lui strabordante eppure dolente, lei creatura fragilissima e indimenticabile, che ci racconta della voglia di Oscar e della morte scenicamente migliore. Nientemeno che con l’ambito premio dell’Academy come arma di suicidio. Niente male, quasi ci esce un altro spettacolo.
Ma c’è pure un bravo Gabriele Brunelli che fra gli altri interpreta Laerte, una guardia, il paggio e poi lei, Lucia Mascino nel ruolo di Gertrude, che con una tutina alla Achille Lauro ci parla di principi della fisica. Assoluta. Nel mezzo musica, citazioni ovunque. È tutto pop, folle, irresistibile. Cosa posso scrivere di questa regia che pattina fra trash, kitch, black humour senza mai scadere nel grottesco? Divenendo anzi perfino lirica? Reca semplicemente l’impronta unica del suo creatore, che partendo da una tragedia letteraria, offre al pubblico l’amaro eppure sempre godibile cabaret della vita. Chi ci riesce davvero così bene, a parte Timi? L’Amleto fu la sua prima regia teatrale e a distanza di 15 anni dopo una carriera onnivora fra cinema, teatro, letteratura e di recente, stando alle ultime interviste, perfino nella moda, non fa che confermarne il talento.
Milan Kundera ha scritto che per salvare la bellezza, dobbiamo far sì che sia un atto premeditato, secondo il mio modesto parere Filippo Timi ce ne ha offerto una lezione.