
Un ottimo preludio con una bacchetta eccelsa, quella di Henrik Nánási, che porta in centro assetto orchestrale appunto i flauti, ed apertura di sipario su strapuntini sospesi qua e là, su uno schermo, scorrono le immagini dell’animazione a firma Paul Barritt per la proiezione e Suzanne Andrade e Barrie Kosky per la regia nonchè ideazione, datata 1927, della messa in scena innovativa garbata non dissacrante, ma grande elemento sublimante per un cast canoro di grande levatura.
Su un tappeto di teschi e scheletri al cui centro campeggia il dragone, una pioggia di simpaticissimi cuoricini rossi, ecco il Principe Tamino e quindi le tre Dame sospese in aria su mezze lune baldacchino, elementi girevoli del fondale, che introducono le varie situazioni liriche del tessuto melodrammatico in scena. Bravissime tutte e tre spicca tra di loro Irida Dragoti per grande complicità scenica e mimica alla vicenda distinguibile perché simpaticamente è unica a fumare. Ed ecco la Regina della Notte, acutissimo soprano, Christina Poulitsi, dalle lunghissime chele con le quali i vari cantanti scimmiottano con abilita mimica e vocale, rincorse o fughe.
Al principe da indicazioni di quest’ultima riceve la missione di liberare la figlia Pamina anch’essa grande soprano dalla voce vibrante di encomiabili lirismi, Amanda Forsythe, dallo stregone, il malvagio Sarastro, che la ha prigioniera. Il solo ritratto inebria Tamino d’amore, e il suono del flauto e dell’anchorman, in un completo color kaki, l’uccellatore Papageno, che ne è l’artefice, fanno il gioco e lo spettacolo. Abile cantante e attore brillante Alessio Arduini gioca con le animazioni: un gatto, le chele infinite e minacciose, della regina della notte rappresentata come un’enorme ragno, con le farfalline, con provette, palombari od arcieri, con elefantini in posizione oniricamente provocante. Balla, corre e soprattutto mostra di sè, senza cedere agli affanni che l’interpretazione della scena gli richiede una bravura da basso veramente senza cedimenti.
Tamino insieme all’uccellatore e a un flauto magico donatogli dalle Dame, perché lo assista nell’impresa, guidati da tre fanciulletti o genii, bei costumi disegnati da Esther Bialas e la bellissima armonia di Mozart, si incamminano verso il castello di Sarastro e alla vista del carceriere Monostato di Pamina, la paura di Papageno, perfettamente ricambiata fa la scena. Tamino suona il flauto e la magia si compie: vede Pamina ed è amore.
Il secondo atto introduce al rito di iniziazione e al coro di sacerdoti, abilmente diretto dall’ormai noto per bravura Roberto Gabbiani, e all’invocazione ad Iside e Osiride perché assistano i due nell’impresa che li attende, e siamo alle prove: il silenzio ed ecco le dame intente a dissuaderli dall’entrare in confraternita. Bella è la scena della vendetta con occhi in ogni dove che non nascondono come solo l’amore possa condurre alla felicità. Papageno non riesce a vincere la prova del silenzio e cede al piacere terreno: il vino e l’amore di una vecchia che si tramuta in avvenente ragazzetta, Papagena appunto.
Il percorso iniziatico continua con i quattro elementi l’Acqua, la Terra, l’Aria e il Fuoco, verso la purificazione ed è proprio Pamina ad accompagnare Tamino in queste prove e il suono del flauto li renderà indenni e carichi di energia per affrontare le difficoltà che esse prospettano. Il superamento delle stesse, garantirà loro l’ingresso nel Tempio, con il coro di giubilo dei sacerdoti. Bellissimo.
Papagena è scomparsa e i genietti esortano Papageno a suonare il carillon perché riappaia. Succede e saranno insieme per sempre. La Regina, le tre Dame e Monostato tutti pronti a uccidere Sarastro, per avere il regno, ma un terremoto celebra il trionfo della luce sulle tenebre, del bene sul male, il coro dei sacerdoti lo accomapagna fino al bacio di Pamina e Tamino, in un Flauto Magico innovativo ma davvero encomiabile. Belle idee e bella musica.